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Volodymyr Zelensky, “rimasto a mani vuote”: la verità sul viaggio di Draghi a Kiev

Renato Farina
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Insieme a Irvin e poi a Kiev! In ordine di Pil si sono recati da pellegrini in Ucraina: Germania-Scholz, Francia-Macron, (più Italia-Draghi Romania-Ioannis, per rappresentare i Paesi non-fondatori). Un viaggio simbolico. Molto simbolico. Forse persino troppo. Di solito questo tipo di messaggi, sovranamente spirituali, sono propri dei Papi di ieri e di quello di oggi. Visitano le città distrutte, chiedono in ginocchio che tacciano le armi, benedicono le vittime con ampi gesti che spandono un istante di pace e di speranza. Esempi? Pio XII nella Roma bombardata dagli alleati a San Lorenzo (tremila morti, 11mila feriti, 10mila case distrutte); a Giovanni Paolo II bastò minacciare per lettera Breznev di mettere piede in Polonia se avesse osato invaderla (1980) quindi andando a Sarajevo (1997, a rischio attentato); o come ha fatto Francesco a Baghdad, a Bangui e a Beirut.

 

 

La potenza dei segni però, se a esserne interpreti sono capi di Stato e di Governo, dev'essere accompagnata da scelte politiche, da accordi terra terra, più soluzioni e meno foto opportunity ad uso dell'opinione pubblica interna. Ehi abbiamo avuto un problema qui, ci aiutate a risolverlo? Noi siamo su un'astronave in avaria, crepiamo qui in Donbass, muoiono anche gli invasori, e andrà sempre peggio, capite il problema, voi di Houston? Houston che fa? Resta a Houston anche se provano a immergersi nella tragedia, ma proprio non ce la fanno, benedicono, elogiano, questo sì. Se ci passate il parallelo con la missione Apollo 13, sono impotenti quei tre + uno. Di sicuro capiscono, ma non vogliono o non possono esercitare un minimo atto, fissare una mossa coraggiosa da cui aspettarsi un pezzettino di salvezza.

UNDICI ORE SUL TRENO
I tre capi europei stavano partendo per rientrare ciascuno nella sua capitale, e al momento dei saluti c'è stato il buffetto napoleonico sulla guancia di Zelensky e sulla sua speranza di essere dichiarato europeo, con la carta da bollo, sui due piedi. Scrive Le Figaro: «A conclusione di uno storico incontro, Emmanuel Macron ha affermato: "L'Ucraina non è morta, e non sono morte né la sua gloria né la sua libertà"». La splendida retorica è perfetta per spiegare l'essenza di quanto accaduto ieri. Non mettiamo in dubbio il dramma interiore dei tre leader, specie del nostro Mario Draghi. Ma le pagine internet dei siti di tutta Europa dicono la verità su quale fosse la missione non dichiarata di costoro. Fisicamente sono andati laggiù, ma il messaggio era diretta al proprio fronte interno. L'Ucraina è sparita, è rimasta come un risaputo rumore di fondo. L'enfasi sulle undici ore di treno, quasi Scholz, Macron e Draghi fossero in balià delle onde su un barcone, a rischio di missile russo; soprattutto le artistiche immagini, "casualmente carpite" con tecnica fascinosa nei vagoni tristanzuoli delle ferrovie ucraine dei tre tenori in abbigliamento casual, i loro volti sorridenti e distesi, le notazioni dei cronisti sul loro essere diversamente eleganti (il tedesco fuori moda, con la maglietta nera dalle maniche corte, nota opportunamente La Repubblica: ah questi crucchi, si fanno sempre riconoscere). Ma accidenti, state viaggiando nel Paese dove ci sono mille morti al giorno. Il sangue zampilla e innaffia fosse appena scavate, che già ne occorrono altre, e poi i corpi sono lasciati lì a marcire. Avete qualcosa di scritto, un impegno dirimente da sottoscrivere insieme a Zelensky Un patto?

 

 

Il viaggio è stato davvero molto simbolico. Non si potevano esprimere meglio nello scenario di un Paese aggredito i valori di libertà, fraternità e uguaglianza dell'Ucraina con l'Europa. I suoi mille morti in guerra chiedevano però qualcosa di molto pratico. Che si facesse di tutto perché domani sia un po' meglio di ieri. Che nessuno tolleri più l'accumularsi in montagne di dolore cadavere su cadavere, e si alzi in piedi, proponendo ad esempio una cosa formidabile. Ucraina non domani, ma adesso, anzi ieri, nell'Ue. Se toccano te, toccano noi. Da cui una proposta semplice semplice e onesta. Tipo: Caro Zelensky, cari fratelli e sorelle ucraine la guerra è perduta, anche se vi dessimo armi più potenti, i vostri soldati non possono imparare ad usarle in una settimana, dunque occorre che accettiate il minor male. Vi facciamo sedere non come ospiti al G7 (bla, bla) ma come membri a pieno titolo dell'Ue. Dopo di che vi accompagniamo noi da Putin per concordare qualcosa di accettabile per la vostra sacrosanta volontà di libertà e di giustizia, ma non c'è partita, sul campo il destino è segnato. Oppure: avete ragione, siamo fratelli, la tua ferita è la mia, la tua libertà è la mia, e vale più della vita. Dunque siamo disposti a sacrificare anche la vita dei nostri popoli, e magari allora davvero si vincerà. Ovvio che quest' ultima cosa non accadrà mai. Il fronte interno dei tre Paesi vuol bene agli ucraini, ma questa guerra ci sta costando troppo.

L'IMPEGNO ITALIANO
Niente di tutto questo è accaduto. Di concreto a quanto pare ci sono tre cannoni "Cesare" che arriveranno presto da Parigi in aggiunta ad altri sei già operativi, e fanno nove: oggi il rapporto è favorevole a Mosca dieci contro uno quanto ad armamenti e loro modernità. Ecco la vera notizia pare essere questa: che l'Italia solleciterà per l'Ucraina il prossimo 23 giugno in sede di Consiglio europeo lo status di Paese candidato ad entrare nella Ue. Draghi ha convinto Macron e Scholz, è stato bravo. Poi ci vorranno anni di esami, campa cavallo. Intanto Roma cercherà in ogni modo di sbloccare le navi con i cereali che marciscono ad Odessa, trattando risolutamente con Mosca. Anche Berlino dà tutta la solidarietà del mondo a questo popolo amante della libertà e darà armi «finché sarà necessario». Un cannoncino alla volta. Per quanti secoli? Ma non è questo che aiuterà la pace. Questo lo sanno loro, e il pensiero segreto è che sarebbe il caso che questi ucraini siano meno ostinati, e non tirino fuori condizioni che offendano Putin. Se sbagliamo, sarà la storia a correggerci.

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