Angela Merkel, imbarazzo totale: parla di Ucraina? Toh, cosa "scorda" su Vladimir Putin
Dopo sei mesi di religioso silenzio finalmente anche Angela Merkel ha detto la sua sull'invasione russa in Ucraina. Niente di trascendentale, niente che la faccia rimpiangere, anzi fosse stata zitta ancora per un po' probabilmente l'Europa e i tedeschi gliene sarebbero stati grati. «La mia solidarietà va all'Ucraina invasa e attaccata dalla Russia e sostengo il loro diritto all'autodifesa», ha detto durante un discorso a Berlino, sottolineando di appoggiare tutti gli sforzi del governo tedesco, dell'Ue, degli Usa, della Nato, del G7 e delle Nazioni Unite per «porre fine a questa barbara guerra di aggressione da parte della Russia». L'ex Cancelliera ha parlato dell'«orrore di Bucha», ha detto che «non dovremmo mai dare per scontate la pace e la libertà», ha parlato di «tristezza senza fine» e di «raggi di speranza» e ha sottolineato l'importanza che l'Europa rimanga coesa.
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SINTONIA E GAS
Tutte cose belle, condivisibili e scontate, ma si è dimenticata di citare il suo amico Putin con il quale ha condiviso sedici annidi incontri, chiacchierate, pranzi, regali, sorrisi e convenevoli. Cose normali per due che non certo per caso si sono ritrovati contemporaneamente ai vertici dei rispettivi Stati che storicamente hanno in comune così tanto? Forse anche qualcosina di più, una sintonia che ha travalicato l'invalicabile, anche quando c'erano di mezzo questioni che avrebbero dovuto rappresentare per la Merkel una linea rossa. Come otto anni fa ad esempio, quando la Russia si prese la Crimea e gettò nell'est dell'Ucraina i semi di quello che sta succedendo in questi giorni. La Merkel disse che il suo amico Putin aveva «perso il contatto con la realtà». Lo disse dopo una telefonata in cui il presidente russo le aveva assicurato che i suoi soldati non erano nel Donbass. Angela si sentì perfino tradita da quelle menzogne, ma ciò non le impedì di continuare a tessere buoni rapporti con il suo amico russo. Difficile calcolare quante volte i due si sono incontrati e stretti la mano, tra visite ufficiali, incontri G7 ex G8 e via di questo passo, di sicuro lei è andata al Cremlino 20 volte, l'ultima delle quali lo scorso agosto prima di lasciare il cancellierato. Si parla di poco più di 8 mesi fa e di e di linee rosse ce n'erano eccome anche all'epoca, Ucraina compresa, tanto che la Merkel si sentì in dovere di sottolineare che nel Donbass «i soldati continuano a morire» e che avrebbe lavorato «fino al mio ultimo giorno da cancelliera affinché l'integrità territoriale dell'Ucraina possa essere garantita». Ma anche in quel caso prevalsero i tappeti rossi, i fiori che lui ha donato a lei e lei al milite ignoto russo, e l'entusiasmo per il gasdotto prossimo a finire. I soldati nel Donbass hanno continuato a morire, oggi molti di più di allora, e dell'integrità territoriale dell'Ucraina una volta terminato il cancellierato non s' è data pena poi più di tanto. Che se ne occupi Scholz al quale la Merkel, oltre alla carica, ha consegnato la patata bollente della totale dipendenza energetica del Paese al gas russo.
«È SEMPRE LA BENVENUTA»
Non che i compagni di partito di Scholz e gli ex cancellieri socialdemocratici avessero fatto di meglio, Schröder in testa, ma la Merkel avrebbe almeno potuto tentare di riparare quando era ancora in tempo, proporsi per una mediazione fuori dal protocollo facendo leva su quel felice rapporto che lo stesso Putin si è sempre vantato di avere con lei. «Qui al Cremlino è sempre la benvenuta» disse una volta il presidente russo che amava prendersi gioco della Merkel anche con scherzi di dubbio gusto, come quando nel 2016 a Sochi, nel bel mezzo di uno dei loro incontri, fece entrare il suo enorme labrador nero ben sapendo che la Cancelliera aveva terrore dei cani. Lei soprassedeva, lui la usava, lei gli inviava bottiglie di birra Radeberger, lui pesce affumicato. I due parlavano la stessa lingua, in Germania il tedesco che Putin aveva imparato a Dresda quando era agente del Kgb, e in Russia il russo, che la Merkel aveva imparato al liceo ai tempi della Germania Est. La stessa lingua su due fronti opposti, un elegante vezzo che Berlino e l'Europa stanno pagando caro.
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