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Migranti russi, bomba a orologeria pronta a esplodere: ecco cosa ci aspetta

Lo scenario

Carlo Nicolato
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Finlandia, Paesi Baltici, Polonia, Moldavia... per loro è una questione di sopravvivenza, non sorprenda che nella prima fila europea contro la Russia ci siano proprio loro. Tali Paesi infatti, anche se non attaccati direttamente, includono nei loro confini bombe ad orologeria di marca russa pronte ad esplodere, milioni di russofoni e non sui quali Putin conta per destabilizzare l'Europa. Per capire di cosa stiamo parlando andrebbe data un'occhiata innanzitutto la legge sui "connazionali all'estero" varata da Mosca il 24 maggio 1999 e poi modificata da Putin il 23 luglio 2013, alla vigilia della prima invasione in Ucraina. Secondo tale norma sono considerati compatrioti le persone che seppure nate e residenti in uno Stato estero, hanno con la Russia affinità «di lingua, storia, eredità culturale, tradizioni e costumi». Sono riconosciuti connazionali anche tutti quelli «che hanno liberamente scelto un legame spirituale, culturale e legale con la Federazione Russa, i cui parenti sulla linea ascendente diretta vivevano in precedenza nel territorio della Federazione Russa» e dell'Unione Sovietica alla sua massima estensione, compreso dunque i territori inglobati durante la Seconda Guerra Mondiale. ASI C'è una bella fetta di mondo dentro, compresa l'Alaska con i suoi nativi, eschimesi e aleutini, ovviamente mezzo continente asiatico, ma anche e soprattutto i confini orientali dell'Europa. I Paesi Baltici furono occupati e annessi all'Urss nel 1940 secondo i termini del patto Molotov-Ribbentrop, in essi tuttora vivono centinaia di migliaia di russofoni e sono anche di più quelli che possono vantare affinità culturali con la Russia. In Lituania il 5% della popolazione è di etnia russa, in Estonia sono il 24% ma i russofoni sono molti di più, perché è il russo è la lingua madre di molti ucraini, bielorussi ed ebrei di etnia che vivono nel Paese. In Lettonia i russi etnici sono oltre il 25% della popolazione, nella capitale Riga sono oltre il 40% e oltre il 50% nella seconda città più grande, Daugavpils. In Moldavia, Transnistria a parte, secondo il censimento del 2014, il 4% della popolazione si identifica come russo, ma in realtà sono il 10% quelli che parlano russo come lingua madre. Secondo l'ultimo censimento del 2011 la minoranza russa in Polonia è molto limitata, si parla di 13mila persone, ma tra gli oltre 3 milioni di rifugiati ucraini accolti negli ultimi mesi dal Paese è praticamente certo ci siano moltissimi russofoni. Della russificazione della Finlandia tentata dallo Zar Nicola II prima che il Paese riuscisse a diventare indipendente (1917) rimangono 70mila russi. Anche in Bulgaria vivono almeno 30mila russi, perlopiù stanziati nella Dobrugia meridionale, che mantengono stretti contatti con la loro madrepatria.

 


Anche senza considerare tutte le questioni già sciorinate in lungo e in largo sull'idea di Grande Russia di Putin, le teorie sull'Eurasia e le mire espansionistiche, secondo la legge citata sopra queste persone, e forse anche molte di più, vengono considerate dal Cremlino dei "compatrioti" che in quanto tali devono essere protetti e reclamati, usati come armadi ricatto, come scusa per minacce e quindi per destabilizzare il Paese dove vivono e l'Europa.

 


Quella che a noi può sembrare forse la velleità difficile da attuarsi di un dittatore che ha perso il senso della realtà è invece una strategia politica di ingegneria etnica ben radicata a Mosca, utilizzata fin dai tempi dell'Unione sovietica. Divide et impera dicevano i romani, un principio che la Russia comunista ha utilizzato nelle sue repubbliche, spostando e aizzando le varie etnie le une contro le altre per giustificare repressioni e mantenere il potere. "Ingegneria etnica" , un metodo che Mosca ha continuato a usare fino ai giorni nostri, rinnovandolo con metodi moderni e sofisticati. Se oggi Putin non riuscendo a prende l'Ucraina si accontenta del russofono Donbass distruggendo tutto, domani potrebbe chiedere Daugavpils, a meno che non voglia prendersi tutti i Paesi Baltici, o accontentarsi della Dobrugia in Bulgaria. I russi fuori patria che reclamano l'assistenza di Mosca sono tanti, c'è solo l'imbarazzo della scelta. La Russia lo sta facendo con il Donbass, lo ha fatto con la Crimea, la Transnistria e Kaliningrad, per gli altri può essere solo questione di tempo. 

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