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Zelensky, "tregua rotta". Poroshenko fermato alla frontiera, caos politico in Ucraina

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Le foto rubate hanno fatto immediatamente il giro dei social: l'ex presidente ucraino Petro Poroshenko è stato fermato alla frontiera con la Polonia, come reso noto dal suo partito d'opposizione Solidarietà. Sconfitto dal presidente Volodymyr Zelensky nel 2019, guida comunque il secondo raggruppamento per numero di voti in un Parlamento ucraino in cui, dall'inizio dell'invasione russa il 24 febbraio scorso, vige di fatto una tregua tra le varie fazioni. Escluse, ovviamente, quelle dichiaratamente filo-russe messe fuori legge dal governo di Kiev. 

 

 


Che la situazione politica interna stia diventando sempre più incandescente per lo stesso Zelensky lo conferma il comunicato di Solidarietà, che accusa il presidente di aver retto appunto la "tregua politica" nata dalla guerra. L'oligarca e politico Poroshenko, che era diventato presidente dopo la svolta filo-europeista nata dalle proteste di piazza Maidan nel 2014 ("un golpe", secondo i filo-russi, che ha generato poi la guerra civile nel Donbass), doveva partecipare a un incontro dell'Assemblea parlamentare della Nato in Lituania, dove doveva incontrare il presidente Gitanas Nauseda, e faceva parte della delegazione ufficiale. "Aveva tutti i permessi in regola - fanno sapere dal suo partito - nonostante questo è stato fermato due volte alla frontiera". Le guardie ucraine lo hanno bloccato in quanto è tuttora indagato per il finanziamento dei separatisti filorussi nell'est del Paese, attraverso vendite illegali di carbone nel 2014-2015.

 

 

 

"Con questa decisione - è l'accusa dei suoi a Zelensky - le autorità corrono il rischio di rompere la tregua politica che costituisce uno dei pilastri della nostra unità nazionale di fronte all'aggressione russa". Di fronte a una situazione militare che si sta rapidamente deteriorando, con i russi vicini al controllo del Donbass, Zelensky ora sconta turbolenze interne sempre più evidenti e c'è chi sospetta che potrebbe non essere più lui a gestire la seconda fase del conflitto, quella dei negoziati e della probabile, dolorosa resa a Mosca.

 

 

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