Kirill, "sempre più isolato dopo l'appoggio a Putin": che fine ha fatto il patriarca di Mosca
Ci vogliono l’esperienza e la competenza di Giovanni Codevilla, già docente di Diritto Ecclesiastico comparato e incaricato di Diritto dei Paesi dell’Europa Orientale presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Trieste, per capire la natura del conflitto fra Russia e Ucraina. Sue le opere Stato e Chiesa nella Federazione Russa; Lo zar e il patriarca. I rapporti tra trono e altare in Russia dalle origini ai giorni nostri (La Casa di Matriona), la tetralogia Storia della Russia e dei paesi limitrofi. Chiesa e impero (Jaca Book, 2016), Il terrore rosso sulla Russia ortodossa (Jaca Book, 2019).
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È una dialettica che dura da secoli, ma da dove partonole pretese di Mosca, professore?
«Il problema inizia dallo zar Pietro il Grande, nei primi anni de lXVII secolo, con la proibizione della lingua ucraina. Poi tutti i suoi successori emanano decreti contro la lingua ucraina, con la proibizione di parlarla e di utilizzarla nelle scuole, addirittura con il divieto di battezzare i bambini con nomi ucraini».
E perché mai?
«A causa di unafratturaavvenuta nel 1240, quando i Tatari arrivano a Kiev e la distruggono. Un secolo dopo, l’attuale Ucraina e la Bielorussia sono inglobate dalla Lituania, poi entrano sotto la Confederazione polacco-lituana, che diventa una sede di cultura. È lì che inizia a delinearsi l’identità ucraina. Dall’altra parte i Tatari impongono alla Russia tre secoli di mutazione genetica, dal punto di vista culturale».
È un processo che riguarda anche il cristianesimo ortodosso?
«In teoria i rapporti fra lo Stato e la Chiesa sono ispirati al principio della “sinfonia dei poteri”, che dovrebbe concretizzarsi in un accordo di collaborazione, ma così non è mai stato, se non nella prima metà del Seicento, quando Fëdor Nikitic Romanov viene eletto patriarca con il nome di Filaret e suo figlio Michail Fëdorovic, nominato zar nel 1613, gli obbediva. Il dominio del potere civile su quello religioso diviene assoluto con Pietro I il Grande (1672-1725), che abolisce il patriarcato e lo sostituisce con il Santo Sinodo governante».
E per tornare ai nostri giorni, Vladimir Putin è un credente o utilizza la religione come uno strumento per avere consenso?
«L’appartenenza religiosa di Putin è controversa. Io avanzo qualche dubbio sulla sua fede: bombardare scuole, asili, uccidere bambini, chiamare alle armi i ceceni che violentano donne e stuprano minorenni, mi pare poco cristiano».
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«Non bisogna fidarsi di quel che si vede, ma andare a fondo. L’atteggiamento servile dell’attuale patriarca Kirill (Gundjaev) nei confronti del presidente Putin in occasione della guerra contro l’Ucraina costituisce la regola piuttosto che l’eccezione. Da parte sua il patriarca non perde occasione di sottolineare il legame fra la Chiesa e le forze armate, come in occasione dell’inaugurazione della Cattedrale dalle Sei Cupole, dedicate ai santi protettori di ogni ramo dell’esercito russo».
Lei in un suo recente intervento sulla rivista Cristianità ha definito Kirill il «ministro del Culto» del Cremlino.
«La realtà è che Kirill fa quello che dice Putin. La sua idea è quella del Russkij Mir, che comprende l’Ucraina e la Bielorussia, ma è un miscuglio di temi cari all’imperialismo laico e a quello religioso,finalizzato alla «de-ucrainizzazione» del Paese. Kirill non sostiene la denazificazione - pretestuosa – dell’Ucraina, ma persegue l’ideale dell’unità ortodossa».
A giudicare dalle reazioni delle gerarchie ortodosse, pare non vi stia riuscendo...
«L’appoggio del Patriarca all’invasione dell’Ucraina viene respinto da tutte e tre le Chiese presenti in Ucraina: nella Chiesa legata al Patriarcato di Mosca, il metropolita di Kiev e di tutta l’Ucraina Onufrij (Berezovskij) ha preso posizione contro la guerra. Inoltre dopo l’invasione dell’esercito russo, in numerose eparchie ucraine appartenenti al Patriarcato di Mosca (Sumy, Žytomyr, Ivano-Frankivsk, Vladimir-Volynsk, Vinnica e Mukacevo), su richiesta di alcuni vescovi i celebranti si rifiutano di commemorare il patriarca durante la liturgia e lo stesso fanno i monaci dell’antica Lavra delle grotte di Kiev, dove è nato il monachesimo della Rus’. Ciò significa che una parte significativa di questa Chiesa rinnega l’autorità del patriarca di Mosca, dal quale si è staccata spiritualmente, anche se non canonicamente».
E da Mosca non li hanno scomunicati?
«Da Mosca, di fronte alle critiche, tacciono. Ripetono le solite accuse: Kiev è la Gerusalemme dell’ortodossia. In realtà, la crisi è evidente: attualmente sono 700le comunità legate al Patriarcato di Mosca che sono passate alla Chiesa autocefala dal 2018».
Quindi Mosca sta perdendo terreno?
«Le esternazioni di Kirill non sono condivise dalle Chiese ortodosse all’estero: così la parrocchia ortodossa in Olanda ha deciso di sottrarsi alla giurisdizione di Mosca; il metropolita di Tallinn, Evgenij (Rešetnikov), primate della Chiesa ortodossa estone del Patriarcato di Mosca, ha firmato una dichiarazione di ferma condanna della guerra in Ucraina, che prelude a un distacco da Mosca; con ogni probabilità l’esempio sarà seguito da altre parrocchie ed eparchie, compromettendo il ruolo dominante di Mosca e vanificando gli sforzi del Patriarcato in atto da tempo per ottenere l’adesione delle comunità ortodosse estere alla giurisdizione di Mosca e il loro abbandono del legame canonico con Costantinopoli. In conclusione, il Patriarcato si avvia a diventare una modesta Chiesa locale, con poca autorevolezza ».
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