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Minuto Rizzo, l'ambasciatore ribalta il quadro: "Putin è pronto ad accettarlo", perché la fine della guerra è più vicina

Gianluca Veneziani
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«Quando ero alla Farnesina, mi incontravo spesso con l'ambasciatore dell'Urss. Non ci sparavamo mica, tra italiani e russi c'è sempre stata una tradizione di buoni rapporti». Parola di un uomo che prima con l'Urss e poi con la Russia ha avuto spesso a che fare nella sua cinquantennale carriera. Alessandro Minuto Rizzo, dal 2001 al 2007 vicesegretario generale e poi segretario generale a interim della Nato, e già ambasciatore d'Italia presso il Comitato per la politica e la sicurezza dell'Ue, ha avuto ruoli apicali nelle istituzioni che oggi si confrontano con Putin. E può suggerirci la strada migliore della diplomazia per uscire dal conflitto.

 

 

 

 

Ambasciatore, il presidente Zelensky ha detto che l'unica condizione per trattare è che i russi lascino l'Ucraina. È uno scenario plausibile? 
«In guerra e in amore tutto è possibile. Ma non so quanto Zelensky vada preso alla lettera, lui mette le mani avanti per concedere il meno possibile. La verità è che, se c'è un tavolo di negoziato, qualcosa dovrà pur dare».
Quale sarebbe un giusto accordo affinché nessuno dei due contendenti perda la faccia? 
«Si potrebbe tornare alla situazione pre-24 febbraio, con due aggiunte: la neutralità dell'Ucraina e il riconoscimento internazionale del passaggio della Crimea alla Russia. Se l'Ucraina dicesse alla Russia "la Crimea è vostra", magari passando da un altro referendum, ciò tranquillizzerebbe i russi. Il problema semmai è il Donbass, che è una zona grigia: si potrebbe farne un territorio autogovernato sotto influenza russa, magari con un protettorato Onu. In tal modo l'Ucraina avrebbe il vantaggio di non aver perso niente a livello territoriale rispetto al 24 febbraio, e la Russia guadagnerebbe su Crimea e Donbass una legittimazione internazionale. E sia Zelensky che Putin salverebbero la faccia».
È da archiviare la possibilità che l'Ucraina si ritrovi spaccata in due, con il Sud e l'Est in mano russa? 
«Era un'idea più credibile all'inizio della guerra. Poi abbiamo scoperto che gli ucraini hanno molto più senso di identità nazionale di quanto pensassimo e non sono disposti a soccombere. E che l'esercito russo è piuttosto sgangherato, fatto per metà di ragazzi di leva, con una struttura organizzativa a dir poco carente».
Putin è stato molto cauto nel discorso del 9 maggio. Teme di perdere la guerra? 
«Sì, credo che Putin abbia questa paura. E perciò è ragionevole che finisca per accettare un compromesso, come quello suddetto, essendosi reso conto di non essere forte come pensava. Lui non è affatto uno stupido, ma all'inizio del conflitto ha sbagliato piano, basandosi su presupposti errati: era convinto che questa guerra sarebbe stata una passeggiata, che l'esercito ucraino avrebbe disertato, e che col suo appoggio i russi avrebbero messo a Kiev un governo amichevole. Penso che Putin sia caduto nel trappolone tesogli da ucraini filorussi che, pur di andare al potere al posto di Zelensky, gli avevano dato informazioni rassicuranti della serie "venite qui coi carri armati e noi vi aiutiamo facilmente a rovesciare il governo"».
 

 

 

 

 

Fa discutere la volontà espressa da Finlandia e Svezia di entrare nella Nato. Si tratta di un atto di sfida a Putin, o della necessità di Stati confinanti con la Russia di difendersi? 
«È innanzitutto una brutta sorpresa per i russi, e un altro loro errore di calcolo. Putin ha fatto una guerra perché gli ucraini non entrassero nella Nato, poi ha scoperto che un altro Paese confinante vuole entrare nella Nato perché ha paura della Russia: non un gran successo per lui. Del resto, la Finlandia non sta prendendo azioni materiali contro Mosca. Vuole entrare nella Nato perché considera il governo della Russia di oggi unpredictable, imprevedibile. Anche la Svezia non è un Paese aggressivo, ma dopo il 24 febbraio ha cambiato la percezione delle minacce e ora ritiene giusto entrare in alleanze che la possano proteggere. Insomma, sono scelte legittime in circostanze eccezionali».
Quanta disinformazione c'è nella tesi per cui la Nato ha delle colpe in questa guerra, essendosi espansa troppo a Est? 
«A partire dal 2001, quando sono diventato vicesegretario della Nato, ho assistito direttamente agli ingressi nell'Alleanza di Stati come i Paesi baltici, Slovacchia e Romania. Ma nessuno mai, e giustamente, si è posto le domande "stiamo irritando la Russia?", visto che si trattava della libera scelta di Paesi che decidevano di trovare il loro naturale riferimento nell'atlantismo. Del resto, già allora l'Occidente non si sognava mica di invadere la Russia con cui anzi cercava un accordo. Forse, se c'è stato un errore, è stato vagheggiare l'ingresso nella Nato dell'Ucraina, che secondo Putin fa parte storicamente dell'area di influenza russa. Bisognava dire subito agli ucraini "non cercate rogne, lasciate perdere". Ma col senno di poi sono bravi tutti».
L'ipotesi di una destituzione violenta di Putin è infondata? 
«Direi di sì, perché scatterebbe un meccanismo di solidarietà nazionale. La Russia è un Paese resiliente, nazionalista e, nel caso di un attacco al proprio leader, la gente si sentirebbe in dover difendere la patria. Nondimeno, visto che Putin sta facendo diversi errori, ragionevolmente diversi russi staranno pensando "cambiamo registro". Bisogna capire quando e come: tra due anni ci saranno le elezioni in Russia, Putin magari potrebbe non ripresentarsi più. Ma pensare a un colpo di Stato al Cremlino è fantapolitica».
Alla fine prevarrà la posizione europea, più favorevole alla trattativa, o quella dei falchi americani? 
«Biden prova a mostrare i muscoli perché ha le elezioni di midterm tra sei mesi e deve dimostrare di non essere un debole, come viene accusato da tanti, a partire da Trump. In verità però gli Usa non hanno alcun interesse a far guerra alla Russia perché hanno problemi interni enormi, la società spaccata in due tra repubblicani e democratici e devono risolvere questa guerra intestina; e poi perché il vero rivale di lungo termine è la Cina. È per questo che Biden non ha detto no all'idea suggeritagli da Draghi di chiamare Putin. E per la stessa ragione, credo, alla fine prevarrà la linea europea. Draghi, Macron e Scholz saranno il trio di punta che andrà a negoziare con la Russia».
 

 

 

 

 

Che nuovo mondo verrà fuori dalla guerra? 
«Non un mondo più destabilizzato, ma con un equilibrio basato su una diversa compensazione di forze. Gli Usa non hanno l'ambizione di fare il guardiano del mondo, sono così divisi al loro interno che hanno molto lavoro da fare a casa. La Russia non sarà una minaccia per la sicurezza globale: rappresenta solo il 2% del Pil mondiale, non è una potenza in espansione ma in declino. L'Europa diventerà un po' più coesa, ma difficilmente creerà un esercito europeo o definirà una politica estera comune. L'unica forza che continuerà a espandersi sarà la Cina». Quando finirà il conflitto? 
«Quando i contendenti si renderanno conto che non serve più a niente continuarla, che sono finite le risorse e la gente comincerà a incazzarsi perché non ne può più: ciò potrebbe accadere già nel giro di qualche mese. Non dimentichiamoci però che è bene non umiliare la Russia: ce lo insegna la storia, i russi sono un popolo di contadini che sanno resistere e rispondere molto bene alle umiliazioni». 

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