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Battaglione Azov, "dietro la finta resa...": una trappola dei russi? Cosa sta succedendo nella fonderia

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Un accordo per l'evacuazione dei militari feriti e rimasti bloccati nei sotterranei dell'acciaieria Azovstal sarebbe stato raggiunto: a renderlo noto è il Ministero della Difesa russo, ma si attendono conferme anche dal lato ucraino. Il timore è che possa essere una delle trappole dei russi, tristemente noti in questa guerra per i corridoi umanitari concordati e poi non rispettati. Anche perché ormai tutto il mondo sa bene per che Mosca i militari ucraini all'interno di Azovstal sono un simbolo da schiacciare senza alcuna pietà. Il sospetto nasce anche dall’intervista rilasciata da Ilya Samoilenko, vice comandante dell’unità asserragliata dentro la fonderia, che a Repubblica ha messo in chiaro che tutti i combattenti sono pronti a morire piuttosto che ad arrendersi.

 

 

“Non se ne parla nemmeno - ha dichiarato - anche se esistesse questa possibilità, preferiamo morire piuttosto che subire l’umiliazione di una resa. La parola resa non esiste nel nostro dizionario”. È spaventosa la tranquillità con cui Samoilenko e i suoi uomini siano pronti a morire: “A meno che non avvenga un miracolo, siamo condannati. È solo questione di giorni. La nostra resistenza li manda fuori di testa. Se non ci fossimo ancora noi, il 9 maggio avrebbero proclamato la loro vittoria su Mariupol. Siamo il sassolino nella scarpa di Putin. La lisca che gli è rimasta conficcata in gola. Un simbolo che vuole annientare. Eroi? No, siamo soldati. Abbiamo ricevuto degli ordini: continuare a resistere”.

 

 

Bernard-Henry Levy gli ha fatto notare che una via d’uscita potrebbe esserci: “S’immagini un grande Paese. La Francia, ad esempio. Si farebbe garante della vostra evacuazione. Che avvenisse con onore”. “Portando con noi le nostre armi?”, è stata la domanda di Samoilenko. “Certo - ha risposto Levy - lascereste Azovstal insieme alle vostre armi, con onore. La comunità internazionale l’ha fatto una volta, quarant’anni fa, per i palestinesi di Beirut”.

 

 

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