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Finlandia e Svezia nella Nato, cosa c'è dietro davvero: ecco come cambia il mondo

Renato Farina
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Oggi la Finlandia ha ufficializzato l'intenzione di presentare richiesta per entrare nella Nato. La Svezia potrebbe seguirla la prossima settimana. 

Tra un attimo parleremo della Finlandia. E del perché oggi il suo Parlamento, abbandonando la storica neutralità di questo Stato, voterà sì alla procedura con cui il suo governo vorrebbe aderire alla Nato, la quale organizzazione a sua volta farebbe un gigantesco affare dal punto di vista strategico-militare, essendo il Paese dei Laghi in grado in poche ore di mobilitare un milione di soldati bene addestrati (su 5,5 milioni di abitanti), e con armamenti convenzionali di prim'ordine. Altro che Ucraina. Diverrebbe il 31° Stato, ma entrerebbe nella Top Five, e forse anche più su: la sua Armata fornirebbe infatti, lungo 1300 km di frontiere con la Russia, una prima linea invalicabile, con una capacità di deterrenza formidabile, di fatto scoraggiando intenzioni aggressive dello Zar o di un suo successore. Lo stesso varrebbe per la Svezia, anch'essa in corsa per entrare nel Patto Atlantico, per di più avendo intrapreso un cammino verso l'armamento nucleare. Avrete notato l'uso qui sopra del condizionale: «Farebbe, vorrebbe». C'è un'incognita infatti. E sta tutta in questa domanda: perché la Turchia ce l'ha tanto con la Finlandia e in seconda battuta con la Svezia, al punto da giudicare un "errore" il loro ingresso nell'Alleanza? Ci sono un sacco di ragioni. Alcune credibili, e persino sensate, altre fasulle.

 

 

IL POTERE DEL SULTANO
Una cosa è sicura: il neo-sultano Recep Tayyip Erdogan può permetterselo. Ha dalla sua l'articolo 10 del Trattato. Gli dà un potere enorme. Perché un nuovo Paese possa far parte dell'Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (da cui l'acronimo Otan o Nato) occorre un invito espresso con "accordo unanime" dagli Stati membri. A Ungheria e Croazia piacerebbe farlo. Ma sono poca cosa, preferiscono farsi valere nell'Ue che affrontare a muso duro gli Usa. Erdogan invece questo diritto formale al "no" può trasformarlo in seria minaccia. Non è solo opportunismo affaristico o propagandistico. Fa parte di un disegno acrobatico e forse temerario, ma finora riuscito per porsi come ago universale della bilancia, perno indispensabile sia pur ballerino dell'ordine globale. Non è un trapezista senza rete: ha il secondo esercito della Nato, dopo quello Usa, ma forse il meglio organizzato. Ha già potuto in passato tenere indisturbato il piede in due scarpe: in Siria e in Libia, in Somalia e nel Caucaso. Tratta con la Cina. Riesce a farsi ricevere dai capi russi e da quelli ucraini. Pur stando nella Nato non applica le sanzioni contro Mosca, ospita a Istanbul le trattative tra belligeranti. La roulette russa truccata cui ci ha abituato il "dittatore necessario" ottomano, copyright Mario Draghi, induce a prevedere la rinuncia all'uso del veto. Ma a un prezzo, che sarà caro, carissimo. La Turchia questo potere se l'è preso. Posso dire un'eresia?

Magari fosse in grado l'Italia di saper maneggiare così le carte dei propri interessi. Venerdì Erdogan si era lasciato andare ad affermazioni pesantissime. Ha detto che è stato un errore ammettere la Grecia. Ora ritiene che Finlandia e Svezia siano una sorta di "pensionato" in cui alloggiano "i terroristi". Allude ai curdi, le cui rappresentanze trovano in questi Paesi Scandinavi calda ospitalità. Con gli americani il gioco a danno dei curdi è riuscito e sta riuscendo mentre scriviamo in Iraq. Funzionerà come ricatto per Helsinki? Del resto sentire Erdogan che accusa il quieto presidente della Finlandia, Sauli Niinisto, e la posata premier svedese, Magdalena Andersson, di favoreggiamento del terrorismo, è l'equivalente del bue che dà del cornuto all'asino. L'appoggio dato ai jihadisti tagliagole da Ankara è arci-documentato. Di certo il sultano ha già commerciato questo suo diniego alla Finlandia con il Cremlino. Dopo di che, al bastone verso Stoltenberg (il segretario della Nato che da premier norvegese di sinistra si tenne in casa davvero fior di terroristi, senza saperli combattere) ha sostituito la carota, con una dichiarazione possibilista del portavoce. La Finlandia desidera ardentemente entrare nell'Alleanza Atlantica. Ha paura delle armi nucleari, non già di attacchi convenzionali. Di quelli se ne impipa. È una scelta fino a pochi anni fa impensabile. Neutralità intoccabile, se non altro per paura dell'Orso russo.

 

 

ROULETTE RUSSA
Che già l'aveva aggredita prima e durante la seconda guerra mondiale causando 87mila caduti tra soldati e civili, su una popolazione allora di 4 milioni. Una enormità di eroismo e di tombe tra i ghiacci. Nel 1946 la Finlandia dovette accettare una neutralità che pendeva dalla parte dell'Unione Sovietica. Fu trattata come un'alleata involontaria della Germania, perché aveva provato a resistere all'Urss. Per sua fortuna non subì l'annessione come capitò alle Repubbliche baltiche. Uno Stato cuscinetto. Governo e parlamento di Helsinki si guardarono bene dal condannare l'invasione dell'Ungheria (1956) e della Cecoslovacchia (1968) da parte del Patto di Varsavia.

L'opinione pubblica finnica ancora nel 2016 aveva manifestato apertamente il suo dissenso di candidarsi come membro della Nato. Le minacce di Putin indussero il popolo a fuggire a gambe levate da questa prospettiva. Adesso la paura di attacchi nucleari che restino impuniti ha indotto la Finlandia, e al suo seguito verrà la Svezia, ad aderire alla Nato. L'articolo 5 è decisivo: «Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell'America settentrionale sarà considerato come diretto contro tutte le parti, e di conseguenza» (...) «convengono che eserciterà il diritto di legittima difesa» (art. 51 Statuto delle Nazioni Unite). Il sogno di Berlusconi che vi aderisse pienamente anche la Federazione Russa, e congiunse per questo le mani di George Bush jr e Vladimir Putin (Pratica di Mare, maggio 2002), è definitivamente morto. Ma questa è una storia troppo lunga da raccontare.

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