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Ucraina invasa dalle mine anti-uomo, "serviranno 20 anni per toglierle"

di Renato Farina lunedì 11 aprile 2022

4' di lettura

Le mine anti -uomo hanno un nome sbagliato, bisognerebbe chiamarle anti -bambino. Chissà per quanti anni saranno l'incubo dei ragazzini ucraini che rincorrono un pallone o raccolgono funghi e fiori. Le mine sono state disseminate dall'esercito russo, secondo calcoli prudenti del massimo esperto, l'ingegner Vito Alfieri Fontana (la cui storia incontreremo tra qualche riga), in un territorio che si calcola essere il 10 per cento delle aree finora coinvolte negli scontri. Pertanto su 80mila km quadrati - così è stato misurato ad oggi il campo di battaglia - quelli che saranno da individuare e quindi bonificare sono 8mila kmq. «Non basteranno vent' anni, e si spenderanno circa 200 milioni di euro all'anno». E quanti mutilatini creeranno? Tanti. E morticini? Non voglio neppure provare a rispondere. Eppure se ne parla poco. Prevale - e si capisce perché - il timore degli attacchi nucleari che ci coinvolgerebbero. Eppure la guerra in Ucraina non è solo questione di missili ipersonici e neppure di droni che fischiano e tirano bombe, o di colpi alla nuca di inermi civili. Ci sono loro, le armi attive senza scadenza, pensate per fare del male anche dopo la guerra, persa o vinta non importa: importa uccidere, sono la persistenza del male.

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STRUMENTI VIGLIACCHI
Di certo sono gli strumenti di assassinio più vigliacchi: posi la mina nascosta in una penna, a volte sembrano farfalle.
E te ne vaia cuor leggero, senza sapere di essere un criminale. Non sai chi pescherà quella carta ferale del destino, è come una lotteria della morte, peggio per gli incauti fanciulli. Come disse una volta un esperto di guerre, il fatto è che i bambini non resistono, è più forte di loro, e puoi dir loro mille volte di non toccare quelle bamboline, quelle stilografiche, di non afferrare quel modellino di auto. I bambini hanno il vizio di "paciugare" e muoiono. Possiamo chiamarli effetti collaterali. Non fanno vincere le battaglie, ma sono la continuazione dell'orrore con altri mezzi. In realtà sono una forma di male assoluto. Un esempio: i russi mettono mine dentro i cadaveri, così che l'atto pietoso dell'inumazione sfracelli vivi e morti.
Gli italiani sono stati gli specialisti nella fabbricazione e vendita di questi arnesi in qualsiasi scenario guerresco degli ultimi 50 anni. Non è una medaglia al valore, ma un marchio di disonore. Adesso però, quasi come una redenzione, viene dal nostro Paese il profeta della loro eliminazione senza se e senza ma. Si chiama - come anticipato - Vito Alfieri Fontana. Figuriamoci se viene ascoltato.

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Ma lui insiste. È la sua missione. In questa danza macabra nell'Est dell'Europa l'ingegnere pugliese punta il dito sulle mine posate dove non te lo aspetti, sono le presenze più subdole, ma non se ne trova traccia nei grafici dove si fronteggiano in bella vista un tot di carri armati russi contro identici attrezzi ucraini. «Se non si arriva alla pace, il compito dello sminamento sarà proibitivo». Anche per questo bisogna spegnere il prima possibile il fuoco delle armi. Alfieri Fontana non predica soltanto, ma fa: insegna a sminare, adesso è troppo vecchio, a 71 anni, per cercarle e renderle innocue con mano ferma di persona. Si scusa, ha detto in una intervista nelle pagine di Bari della Repubblica del gennaio scorso, ad Antonella Gaeta: «sarei solo di peso». Di questi strumenti demoniaci è stato fino a circa 30 anni fa un loro propagatore. Come Paolo di Tarso qualcosa lo ha ribaltato di dentro: un incontro lo ha fatto cadere da cavallo.

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LA CONVERSIONE
La fabbrica di famiglia produceva con tecniche sofisticate quelle mine: insieme morte e reddito. Ad un certo punto il discorso mille volte ripetuto dentro la propria coscienza non ha più funzionato. Ciascuno, qualunque sia il ramo delle brutte cose che fa, lo usa come propria giustificazione: «Se non le facciamo noi le produrranno altri, tanto vale fabbricarle noi, dando lavoro eccetera». L'ingegner Vito era inquieto. Non stava bene con se stesso. C'era una campagna in corso, negli anni '90 contro le mine anti-uomo, (i nomi più famosi: Madre Teresa e Lady Diana) perché l'Onu ne dichiarasse l'illeceità, o meglio l'orrore. Niente da fare. «Il 99 per cento dei Paesi non ha firmato la convenzione per la loro abrogazione: Russia, Cina, India, Usa, Egitto». Lo chiamò il vescovo di Molfetta, Tonino Bello (presto sarà beato) e lo invitò a un incontro pubblico, «per discutere, trovare un punto di incontro», gli disse. Il monsignore morì prima della assemblea. Vito si presentò lo stesso. Discussioni aspre. Finché un ragazzo gli chiese: «Ma lei sogna la guerra per vendere tante mine? Che vita è questa?». Udì in quella voce quella del vescovo Tonino, identica sputata. Era il 1994. Vito ha cambiato vita. Ha sminato la Bosnia, ma non gli basta. «Le vittime non possono perdonarmi». P.S. La questione delle mine tocca drammaticamente Odessa, il maggior porto del Mar Nero. Passa, anzi passava di lì, quasi tutta l'esportazione di cereali capaci di sfamare 600milioni di persone, per non parlare del nichel e del manganese di cui è ricca l'Ucraina. Per sbarrare la strada alle navi russe il mare nei pressi del porto è gremito di mine. Ci vorrà un anno a riaprire il porto al commercio, sempre che la guerra finisca. Il prezzo del grano è salito a perdifiato, come quello del nichel. E intanto non si semina e non si scava nelle miniere. E la pace chi la vuole davvero? Il popolo senz' altro. Ma i potenti non credo. 

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