Ucraina, il generale Vincenzo Santo: "Putin vuole anche il Baltico, va fermato anche con le cattive"
Il Parlamento italiano, su richiesta del premier Mario Draghi, ha approvato l'invio di missili anticarro e altro materiale bellico destinato all'esercito ucraino e ai civili che combattono casa per casa contro Putin. Sul significato e le conseguenze di questo passo politico chiediamo un'analisi al generale di Corpo d'Armata Vincenzo Santo, ex capo di Stato Maggiore della Nato in Afghanistan.
Generale Santo, l'invio di armi equivale tecnicamente a una dichiarazione di guerra dell'Italia alla Russia?
«In linea teorica sì, siamo in una situazione di coinvolgimento attivo con una delle parti in guerra. Tuttavia, per esempio, non mi aspetto che i russi mandino un aereo da caccia intercettore Mig a bombardare alla stazione di Trieste un convoglio destinato all'Ucraina. Né che lo facciano nel tragitto attraverso Austria, Repubblica Ceca e Slovacchia (l'Ungheria, come è noto, non ammette questi transiti). Ma non stupiamoci se un commando di speznatz (così si chiamavano i corpi speciali dell'ex Unione sovietica), travestiti da camionisti lo facciano saltare in aria».
Dunque i rischi di un coinvolgimento italiano diretto nel conflitto dopo l'invio delle armi sono per fortuna, almeno per ora, più teorici che reali? E, detto questo, è utopistica o realistica la minaccia di una possibile escalation nucleare, fra l'altro annunciata dallo stesso capo del Cremlino?
«Purtroppo non siamo nella testa di Vladimir Putin e del suoi generali. Non è affatto scontato che dalle armi convenzionali si passi a quelle tattiche nucleari. Tutto dipende dall'efficacia o meno dell'offensiva in atto, se rallenta o se fallisce, ma nulla escluderebbe la tentazione dell'azzardo nucleare da parte dei russi. Va comunque precisato che, ove si avesse evidenza che la Russia sia in procinto di lanciare un missile balistico (che sia nucleare o meno è difficile saperlo in anticipo), la Nato o soltanto gli Stati Uniti d'America potrebbero intervenire con un attacco preventivo, legittimo in termini di diritto internazionale, senza attendere l'attacco vero e proprio sul territorio occidentale».
Siamo nel campo delle peggiori e allarmistiche previsioni, ma è bene tenerle presenti. A riguardo, le propongo due scenari: occorre comunque fermare Putin a tutti i costi, con sanzioni sempre più severe? E nondimeno è saggio, a livello strategico, lasciare sempre al dittatore russo una via d'uscita?
«Non c'è dubbio che Putin debba essere fermato con le buone o con le cattive. Sta seguendo la "teoria del prospetto", ovvero quella che 30 anni fa Robert Jervis adattò alla guerra prendendola in prestito dall'economia comportamentale: quella stessa teoria che spinge il presidente russo a fare una guerra subito per non avere probabilmente fra dieci anni i missili della Nato puntati contro Mosca. Se non lo si ferma ora e subito, nessuno ci assicurerà che Putin, dopo l'Ucraina, non alzi la posta in gioco e pretenda, ad esempio, di occupare militarmente Kaliningrad, enclave russa tra Polonia e Lituania con accesso al mar Baltico».