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Ucraina, compriamo più gas ora di prima della guerra. Quanto denaro diamo al nostro nemico

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Tobia De Stefano
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Sarà pur vero, per usare le parole di Enrico Letta, che vogliamo «mettere in ginocchio la Russia», ma i fatti dicono che da quando è iniziata la guerra, anzi già da qualche giorno prima, l'Italia ha aumentato e non di poco la quantità di gas che compra da quel tiranno di Putin. Che il resto d'Europa non ha certo interrotto i flussi di denaro per acquistare "energia" da Mosca. E che la stessa America di Biden, pur avendone meno bisogno, continua a bussare alle porte dello zar per l'8% delle importazioni di idrocarburi. E allora la domanda viene da sola: qual è il prezzo che Roma, Bruxelles e Washington sono disposte a pagare per la pace? Per adesso, retorica a parte, non si intravede una gran voglia di svenarsi, quasi a dar ragione al Daily Mail che negli scorsi giorni ha accusato il premier Draghi di considerare più importante «la vendita dei mocassini agli oligarchi» (per la possibile esclusione del lusso dagli scambi commerciali vietati con Mosca) piuttosto che punire gli aggressori dell'Ucraina. Vediamo.

 

 

 

Se si prendono i grafici (tabella in pagina) sui flussi di gas che partono dalla Russia, passano per l'Ucraina (la città di Uzhgorod), arrivano nel sito slovacco di Velké Kapusany e da lì vengono smistati soprattutto in Italia (Tarvisio), ma anche in Austria, Slovenia, Croazia, Ungheria ecc si può vedere che nell'ultima settimana gli acquisti si sono sono addirittura triplicati. Si parte dai 10 gigawatt/ora del 21 febbraio, per poi registrare un'impennata nel primo giorno del conflitto (il 24 febbraio) e assestarsi sui 36 gigawatt/ora della giornata di ieri. La spiegazione? La priorità per l'Italia in questo momento è aumentare lo stoccaggio. Avere più riserve non tanto per l'oggi, ma soprattutto per il prossimo inverno. I ritmi di acquisti, quindi, si stanno intensificando proprio perché l'escalation della guerra dal 24 febbraio in poi è considerata imprevedibile e perché comunque bisogna fare i conti con i numeri.

Quelli che ci dicono che più del 40% del nostro fabbisogno di gas è soddisfatto dalla Russia e che le fonti alternative ieri c'è stata l'importante apertura del colosso algerino degli idrocarburi Sonatrach - a oggi non bastano. Il punto è che un piano organico di "salvataggio" al momento non esiste, tant' è che oggi il Cdm dovrebbe intro durre una norma che consente di ribilanciare la produzione di energia dal gas al carbone. Un provvedimento emergenziale, appunto. Continuare a finanziare il nemico però non solo alla lunga può risultare controproducente ma stona di brutto con i messaggi "altisonanti" lanciati da alcuni leader politici, Enrico Letta del Pd in testa, che invitano a spezzare le reni al nemico. Del resto l'incoerenza delle parole rispetto alle azioni dell'Italia e delle sue sorelle europee è dimostrata anche da quello che sta succedendo su un altro fronte caldo, il sistema Swift, la cosiddetta «arma nucleare finanziaria» (il copyright è del ministro dell'Economia francese, Bruno Le Maire) da usare contro Putin.

 

 

Italia e Germania hanno fatto spallucce, poi hanno deciso che bloccare le transazioni con le banche russe era inevitabile. Ma il provvedimento rischia di partorire un topolino. Se verranno inclusi gli istituti più grandi, come Sberbank, VTB e Gazprombank, Putin inizierà a ballare, altrimenti... Da questo punto di vista, la risposta di Londra è stata di tutt' altro tenore. Il criticatissimo Boris Johnson è stato tra i primi premier a volare a Kiev, il Regno Unito ha immediatamente vietato la vendita di titoli di Stato russi e, notizia di ieri, Bp, il gruppo petrolifero quotato nel Regno Unito, ha annunciato che venderà il 20% detenuto in Rosneft. «Non rendiconteremo più profitti dai russi», l'annuncio choc, secondo Bloomberg potrebbe costare 25 miliardi di svalutazioni a British Petroleum, ma pare che le pressioni di Downing Street fossero insostenibili.

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