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Ucraina, la profezia del generale Jean: faccia a faccia con Vladimir Putin? Che fine può fare Mario Draghi

Fausto Carioti
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Il generale Carlo Jean, docente universitario e massimo esperto italiano di strategia militare e geopolitica, consigliere militare del presidente Francesco Cossiga, conosce bene la Russia e i russi. «Prima o poi la Russia si avvicinerà all'Occidente», dice a Libero. «Ho fatto parte per otto anni del consiglio di direzione della Moscow school of political studies, una scuola per politici russi finanziata dal Consiglio d'Europa e dall'Unione europea, e posso dire che lì la volontà d'integrazione con l'Europa e il timore di un'eccessiva espansione della Cina erano evidentissimi».

 

 

 

Resta da capire cosa accadrà nel frattempo, generale. Quanto è alto il rischio che sul confine tra Ucraina e Russia si verifichi il temuto incidente che farebbe scoppiare una guerra?

«Lo ritengo abbastanza ridotto. Vladimir Putin ha un buon controllo dello scenario e anche delle forze secessioniste del Donbass. Lo stesso, però, non si può dire da parte ucraina: milizie ucraine orientate politicamente potrebbero compiere atti di forza, attaccando i secessionisti e facendo precipitare la situazione».

Se incidente ci sarà, in altre parole, sarà per responsabilità ucraina e non russa.

«Molto verosimilmente sì. Non credo che Putin voglia iniziare un conflitto armato, che sarebbe per lui molto rischioso e costoso. Sia per le dimensioni del Paese, sia perché l'Ucraina ha organizzato una difesa operativa del territorio simile a quella che era stata creata nei territori Nato e nei territori europei neutrali quali Svizzera, Austria e Svezia, basata su una struttura "Stay behind", quella che noi chiamiamo "Gladio"».

Le truppe ammassate da Mosca non sono sufficienti per occupare l'Ucraina?

«No. Ammontano a circa 150mila uomini, ce ne vorrebbero centinaia di migliaia in più per controllare i seicentomila chilometri quadrati del territorio ucraino. L'invasione comporterebbe anche costi economici e perdite umane che diventerebbero rapidamente inaccettabili per Mosca. A questi si aggiungerebbero le sanzioni occidentali, che sarebbero sicuramente molto pesanti, anche perché comprenderebbero l'esclusione della Russia dal sistema di transazioni finanziarie internazionali Swift, da cui dipende quasi per intero il suo commercio este ro».

Qual è l'obiettivo di Putin? Tutti abbiamo scritto che non vuole vedere la Nato espandersi sino ai confini della Russia: c'è altro?

«Putin punta soprattutto ad aumentare il consenso interno. L'allargamento della Nato non cambierebbe sostanzialmente la situazione strategica, che si basa ancora sull'equilibrio delle forze nucleari. La dissuasione nucleare basata sulla Mad (la distruzione re ciproca assicurata, ndr), continuerebbe a funzionare. Viene aggiornata nei negoziati di Ginevra per il rinnovo degli accordi "New Start" sulle armi strategiche, che si stanno svolgendo regolarmente».

Vede Putin in difficoltà?

«Lo vedo in un cul-de-sac da cui gli sarà difficile uscire senza fare brutte figure».

Che giudizio dà dell'operato del "commander in chief" degli Stati Uniti, Joe Biden?

«Per lui la crisi ucraina è una manna. Dopo i tanti flop e umiliazioni subite, vede la possibilità di un successo. Ora vuole renderlo completo e non mollerà l'osso. La Nato era quasi moribonda e lui, con l'aiuto involontario di Putin, l'ha rivitalizzata. Le proposte fatte dalla Russia sulla nuova architettura di sicurezza in Europa non sono accettabili per nessuno, soprattutto per i Paesi europei orientali e baltici, che su questo sostengono completamente gli Stati Uniti».

 

 

 

Consenso interno e internazionale a parte, cosa vogliono a Washington?

«Sicuramente non vogliono la guerra. Hanno perfezionato il loro sistema sanzionatorio e sono determinati ad infliggere a Mosca un prezzo molto salato. Mi sembra chiaro l'intento di umiliare la Russia per evitare che in futuro si ripetano situazioni come quella attuale, che allarmano i mercati e scombinano gli affari delle multinazionali e delle grandi finanziarie americane».

Resta da capire cosa ne pensano a Pechino, di un'affermazione americana in quell'area.

«Se gli Stati Uniti fanno così, molto verosimilmente hanno ricevuto dalla Cina l'assicurazione che non interverrà in modo deciso in favore della Russia. Non scordiamo che Pechino non ha mai riconosciuto l'annessione della Crimea e che nel comunicato congiunto di Xi Jinping e Putin del 4 febbraio, in occasione dell'inaugurazione dei giochi olimpici, l'Ucraina non è menzionata. Gli Stati Uniti giocano su questo, oltre che sul fatto che se c'è un Paese in cui la minaccia cinese è sentita in modo particolare è proprio la Russia, dove il "pericolo giallo" è condiviso dalle masse».

Qual è l'interesse della Cina in questa partita?

«Pechino utilizza in Ucraina quarantamila chilometri quadrati di terreno agricolo, pari al 12% della superficie italiana, nei quali produce grano che viene esportato in Cina. Ha anche siglato un importante accordo- il "Diciassette più uno" - con i Paesi dell'Europa orientale, balcanica e baltica. Questo ci fa capire perché il regime cinese sia assolutamente contrario ad un mutamento dello status quo in quell'area».

Pechino non intende approfittare di un conflitto in Ucraina per invadere Taiwan?

«Lo escludo. Chi legge i documenti dei centri studi strategici cinesi, senza dubbio "ispirati" dai vertici del partito, sa che fanno una netta distinzione tra la situazione dell'Ucraina e quella di Taiwan. Escludono pure che ci possa essere un conflitto sui due fronti. Anche perché in quell'area del Pacifico ci sono alleati storici degli Stati Uniti come il Giappone. E non trascuriamo l'India, la vera rivale della Cina nello scenario asiatico».

Mario Draghi presto sarà a Mosca, dove lavorerà per mettere Putin ed il presidente ucraino Volodymyr Zelensky allo stesso tavolo. Crede che abbia buoni argomenti da spendere?

«No. Gli argomenti validi, in questi casi, sono le divisioni corazzate e i soldi, e l'Italia non ha né le une né gli altri. Ha però una tradizione di buoni rapporti con la Russia, che risalgono alla fine della Seconda guerra mondiale, solidi legami di carattere commerciale e, pur muovendosi con la benedizione degli Stati Uniti, della Nato e della Ue, non è vista dalla Russia come un Paese molto importante. Questo può renderla l'interlocutore giusto tramite il quale lanciare un messaggio all'Occidente, cosa che è più difficile con la Germania o la Francia».

Il fatto che l'Italia acquisti dalla Russia il 43% del gas che importa è solo un fattore di debolezza o può esserlo anche di forza? È vero che a noi serve il gas russo, ma è vero pure che Mosca ha bisogno dei nostri soldi.

«A me sembra un fattore di debolezza e nient' altro. Anche perché Putin si è premunito contro le sanzioni occidentali: ha portato a 600 miliardi di dollari le sue riserve valutarie e ha aumentato il fondo sovrano di ricchezza russo da 80 a 200 miliardi di dollari, approfittando del boom del prezzo del metano e del petrolio. La chiusura del rubinetto del gas sarebbe molto più sopportabile per la Russia che per i Paesi dell'Europa occidentale, in particolare per l'Italia e la Germania».

Non vede una soluzione rapida, insomma.

«No, credo che l'attuale tregua armata durerà a lungo. Il conflitto permarrà, speriamo congelato».

Una via d'uscita andrà cercata. Quale può essere?

«La si può trovare nel rifacimento dell'architettura europea di sicurezza, fondata sui grandi accordi multilaterali di controllo degli armamenti iniziati nei primi anni Novanta. Quegli accordi hanno dimostrato di funzionare. Tutti hanno interesse a far sì che la dissuasione nucleare resti il pilastro dell'ordine o, per essere poetici, della pace mondiale, ed eviti lo scoppio di grandi guerre».

 

 

 

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