M5s, l'oppositore di Maduro: "Il governo Conte ostacolò l'indagine sui fondi ai grillini"
Armando Armas è un avvocato, professore universitario e politico venezuelano. Membro fondatore di Voluntad Popular, partito di Leopoldo Lopez e formazione politica del Presidente ad interim Juan Guaidò, nel 2016 viene eletto all'Assemblea Nazionale - il parlamento monocamerale della Repubblica del Venezuela - nella circoscrizione dello Stato di Anzoateguì. Dal gennaio 2019 è Presidente della Commissione Affari Esteri dell'Assemblea Nazionale. Lo incontro grazie a Matteo Angioli, Vice presidente del Consiglio generale del partito radicale, per parlare della politica oggi in Venezuela ma anche per affrontare lo scandalo del presunto finanziamento al Movimento 5 Stelle da parte del regime di Caracas su cui sta indagando la procura di Milano.
Onorevole Armas cosa dice dei fondi incanalati dal regime di Maduro ai 5Stelle?
«Le accuse provengono dall'ex capo dell'intelligence chavista Hugo Carvajal, e in precedenza provenivano da un documento filtrato dall'interno che parlava di un finanziamento al Movimento 5 Stelle da parte del Venezuela. Io personalmente non dubiterei sulla plausibilità delle accuse, poiché il regime venezuelano ha una lunga e documentata storia in questo genere di attività, attività di ingerenza che ci è stata confermata negli anni anche da molte fonti diplomatiche di molti Paesi del mondo anche fuori dall'Europa».
Cosa intende dire che il regime venezuelano ha una "lunga e documentata storia"?
«In molti casi il Venezuela ha finanziato movimenti cosiddetti anti-sistema, esattamente come si presentò inizialmente il Movimento 5 Stelle o il movimento Podemos in Spagna. È una faccenda molto delicata in cui le autorità italiane effettivamente stanno lavorando per accertare le accuse e identificare i contorni dei fatti. Penso però che, per casi di questo tipo, si dovrebbe avviare anche una investigazione internazionale, perché queste vicende hanno implicazioni transnazionali molto importanti. Il regime venezuelano ha aiutato e aiuta qualsiasi movimento che si opponga e contrasti con la visione democratica e liberale della politica, e non mi stupisce se lo ha fatto anche e soprattutto in un Paese come l'Italia, assolutamente strategico e dotato di legami storici, politici, economici e culturali molto forti con il Venezuela».
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Quali riscontri avete sui fondi di Maduro ai 5S?
«La questione non è Maduro. Questo modus operandi viene da prima, viene da Chavez, che cominciò a fornire appoggio politico e finanziario diretto all'estero tramite strutture ed attività anche illecite». Mi può spiegare? «In fin dei conti, si tratta nientemeno che di una tendenza emergente che contraddistingue l'operato di molti regimi autoritari, che utilizzano canali di penetrazione e ingerenza transnazionale, scavalcando i confini e violando il principio di autodeterminazione dei popoli. Si tratta di una prassi di ingerenza molto sottile, che spesso incontra alleati nel mondo anche privato, nei media e nella comunicazione, nell'impresa».
Quindi è così da tanto tempo?
«Nel corso degli anni, il regime chavista e madurista ha tessuto una rete globale di alleanze e complicità con grande abilità, non soltanto tra attori politici ma anche tra organizzazioni non governative, imprese e mezzi di comunicazione a livello internazionale».
Quali azioni parlamentari sono state fatte per avere comprensione sui fondi dati al Movimento 5S?
«Al tempo, intorno a gennaio-febbraio 2019 con il governo Conte 1 (ma la stessa cosa continuò con Conte 2) l'Italia non riconobbe il governo a interim di Guaidò come governo legittimo, cosa che ha reso molto difficile per noi la possibilità di tenere sotto controllo questo genere di vicende. Nonostante ciò, una delle prime giornaliste a denunciare quel caso fu Marynellis Tremamunno, che invitammo a un'audizione presso la commissione per la politica estera da me presieduta per illustrare i contorni del caso. Attraverso la rappresentante in Italia di Guaidò, la deputata in esilio Mariela Magallanes, abbiamo portato avanti in Italia la causa della trasparenza sulla faccenda. Ma tutto ciò si è rivelato estremamente difficile».
Ed il motivo della difficoltà nell'indagare?
«Ripeto, per l'inesistenza di relazioni dirette e formali tra il governo ad interim e il governo Conte. Cosa che, ricordo, ha di fatto anche ostacolato il riconoscimento di Guaidò come legittimo presidente da parte dell'Unione Europea».
Chi sono le principali figure coinvolte e di che cifre parliamo?
«Ci sono figure centrali da anni nella rete della dittatura venezuelana in Italia. Tra questi, sicuramente, ricordiamo Rafael Lacava, che fu ambasciatore del Venezuela in Italia, ma anche Isaia Rodriguez, anch' egli ambasciatore venezuelano in Italia. C'è poi Giancarlo Di Martino, il console generale a Milano, e il console a Napoli. Tutte queste figure, più che essere funzionari, sono veri e propri operatori politici in Italia a favore di un progetto rivoluzionario anti-sistema e antidemocratico. Questi sono i soggetti che hanno a vario titolo stretto relazioni che, oltre al Movimento 5 Stelle, coinvolgono molti altri ambienti, dalla comunicazione all'accademia. Come non ricordare che Herman Escarrà (l'ideatore della Costituzione di Chavez, ndr) era stato invitato a tenere una conferenza all'Università La Sapienza l'anno scorso? Per non parlare di Pino Arlacchi, diplomatico italiano, che è consulente del regime venezuelano. Ci sono molte personalità italiane di alto profilo che sono e sono stati alleati di un regime violatore dei diritti umani e perpetratore di crimini contro l'umanità. È una cosa molto grave, che va fatta conoscere».
Armas oggi quanto pesa il narcotraffico negli assetti e nelle decisioni prese ai massimi livelli del Paese?
«Anzitutto, dobbiamo premettere che il Venezuela è un Paese sempre più fragile, sempre più un "failed State" da almeno il 2006-2007. Mildred Camero, che fu a capo della Commissione Nazionale contro l'uso illecito di droghe (Conacuid) durante i primi anni di Chavez e che in precedenza era stata giudice penale, spiegò in un libro molto dettagliato come sono strutturate le reti del narcotraffico in Venezuela, all'interno addirittura degli apparati militari. Ci fu anni fa un caso molto conosciuto, di un tentativo di trasporto di 300 kg di cocaina su un volo Air France: il fatto venne alla luce grazie ad una investigazione di Scotland Yard, fu uno scandalo internazionale, e non fu l'unico. Anche sulla scorta di vicende come queste si cominciò a parlare del "cartello dei Soli", chiamato così perché i componenti di base del cartello sono dei generali e i Soli sono l'equivalente qui delle stelle nelle mostrine degli alti ufficiali».
Mi può spiegare chi sono esattamente i Soli?
In sostanza, sono alti ufficiali militari quelli che controllano il traffico, ufficiali come Cliver Alcalà Cordones, o come Nestor Reverol, che è stato ministro degli Interni, della Giustizia, e comandante generale della Guardia Nazionale. Certo è terribile pensare che un Paese produttore di petrolio veda oggi come una delle principali fonti di introito il narcotraffico; si sostiene perfino che l'impresa petrolifera PDVSA sia stata usata per il traffico di droga. Pensiamo poi alla benzina, che è uno degli elementi base della catena di produzione della cocaina; la benzina, in un Paese petrolifero, si ottiene a basso prezzo. Ciò ha incentivato il contrabbando di carburante lungo la frontiera con la Colombia: la benzina transita illegalmente dal Venezuela, per essere impiegata per il processamento della materia base della cocaina. Anche per questo la relazione tra Venezuela e Colombia è simbiotica: a controllare la frontiera tra Venezuela e Colombia, dal lato venezuelano sono i militari, ed è anche per questo che il regime ha sin da subito cercato di corrompere l'establishment militare per facilitare i traffici illeciti legati al narcotraffico tra Venezuela e Colombia. La droga, prodotta anche con benzina di contrabbando, entra poi facilmente in Venezuela, e da lì viene commercializzata in sicurezza verso il primo mondo, specialmente verso l'Europa. È anche così che il Venezuela è diventato tra i principali Paesi al mondo per esportazione di stupefacenti».