Israele, cosa sta accadendo dopo la terza dose di vaccino: adesso come la mettiamo?
Terza dose, zero morti: modello Israele. Ché non devi mica dirglielo, agli israeliani, come si affrontano le emergenze, è gente preparata. Hanno iniziato loro, nel mondo, a somministrare le punturine salva-pelle numero tre. Non l'hanno fatta troppo lunga con gli annunci, a Tel Aviv: si son messi in fila e sotto a chi tocca. Ecco, tocca che ieri (e non è nemmeno la prima volta nell'ultima settimana) le statistiche nazionali nello Stato della Stella di David han rilevato zero decessi per coronavirus. Zero, zero spaccato. Cioè neanche uno. Da noi son stati 74, per dire. Vogliamo davvero mettere in dubbio l'importanza di farcelo, questo benedetto secondo richiamo? No, perchè l'esempio israeliano è lì da vedere: la campagna vaccinale, in Israele, viaggia talmente bene (pochi giorni fa hanno incassato pure il via libera per le inoculazioni ai bambini fino ai cinque anni) che la quarta ondata, da quelle parti, l'han vista di sfuggita. «Ci troviamo in una situazione eccellente», dice soddisfatto il premier Naftali Bennett, «siamo sul punto di uscire dalla variante Delta».
LO STUDIO
Capito come va, a dar credito alla scienza? Non a caso il Jerusalem Post rende noto uno studio (israeliano, ça va sans dire), fresco fresco di pubblicazione sulla rivista Nature Communications, il quale sostiene che chi si è sottoposto alla vaccinazione anti-sars-cov2 con Pfizer a gennaio, oggi ha una probabilità maggiore del 51% di contrarre il virus rispetto a chi il braccio, per lo stesso motivo, ce l'ha messo a marzo. Significa che è meglio correre ai ripari, che è meglio fare come Israele. Tra l'altro son stati i primi, gli israeliani, a riempirsi gli ambulatori con i vaccini di Pfizer: qualcosa l'avran capita. A febbraio, mentre l'Europa cercava di portare a casa contratti accrocchio sulle scorte comunitarie che abbiam visto che fine han fatto, l'allora Primo ministro Benjamin Netanyahu alzava la cornetta, chiamava direttamente il Ceo dell'azienda di New York Albert Bourla e, offrendogli il doppio del prezzo di mercato, si assicurava venti milioni di fiale. Tanto per cominciare.
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C'è poco da fare, le crisi si risolvono col pragmatismo. Ora, per l'avvio della campagna di massa siamo arrivati tardi e oramai è andata come è andata, però la lezione israeliana possiamo ancora impararla. La Delta, la Delta+: il rimedio c'è. Santiddio, usiamolo. E se proprio vogliamo dare i numeri, almeno diamoli con criterio: da Haifa a Eilat, nel fine settimana scorso si contavano complessivamente 6.450 persone affette da coronavirus. Israele, per estensione territoriale e popolazione è paragonabile alla Lombardia, dove invece il numero del totale dei positivi si aggira intorno ai 13mila. Martedì scorso le autorità ebraiche hanno registrato 475 nuovi casi, in netto calo rispetto ai circa 6mila giornalieri di appena due mesi fa: quando la dose booster non aveva ancora fatto capolino. I ricoverati in terapia intensiva da loro sono 147 e, finora, il bilancio delle vittime è fermo a 8.133. «Israele è un Paese sicuro», non fa che ripetere Bennett, «ma per mantenere questo status, e per salvaguardare la continuità della vita normale, dobbiamo monitorare da vicino la situazione e prepararci a qualsiasi scenario». Leggi alla voce: alla Knesset sono stufi di rincorrere bollettini e scorrere statistiche. Per carità, fanno anche quello (vedi sopra). Però son convinti che senza prevenzione si finisca (di nuovo) a gambe all'aria. Così si sono inventati la prima esercitazione nazionale anti-covid del mondo. Sissignori, come per un qualsiasi pericolo imminente o attentato terroristico: una sala operativa, una simulazione, un nuovo ceppo immaginato per l'occasione.
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LA OMEGA
L'annuncio l'ha fato Bennett mercoledì scorso, giovedì è scattata l'ora ics e lui, assieme ai suoi assistenti, si è rintanato in un bunker nella periferia di Gerusalemme, mentre fuori funzionari, militari e "organi di alto livello" cercavano di sbrogliare i nodi chiave di una nuova variante letale (l'hanno soprannominata "Omega"). Pare sia andato tutto bene, ma d'altronde non si possono pretendere fughe di notizie dal Paese del Mossad. Scherzi a parte, dicono fonti governative che i risultati verranno «condivisi con i nostri partner stranieri». Chi è rimasto coinvolto nella maxi simulazione ha dovuto affrontare diversi scenari e lavorare in gruppo, prendendo decisioni e facendo scattare le misure che oramai abbiamo imparato a conoscere anche qui: quarantene, distanziamenti, obblighi di dispositivi per la protezione personale, blocchi aerei e navali. Non han lasciato niente al caso: ma ci sono abituati, in Israele.