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Squid game, Kim Jong-un e "il volto bestiale". Corea del Nord, filtrano parole sconcertanti

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Da fenomeno mediatico, Squid game è diventato presto anche un caso geo-politico. Ci ha pensato Kim Jong-un, lider maximo della comunistissima Corea del Nord, a bombardare (si fa per dire, almeno per ora) i cugini della Corea del Sud artefici della fiction più vista della stagione su Netflix a livello mondiale. La serie tv è un piccolo capolavoro di fantascienza distopica in cui decine di cittadini disperati e alle prese con gravi problemi economici accettano di partecipare a una serie di prove (mortali) per vincere un ricco montepremi e sistemarsi per la vita. Tutto questo, ha accusato Kim, che Donald Trump aveva sprezzantemente ribattezzato Cicciobello, "mostra la natura bestiale della società sudcoreana".

 

 

 


Insomma, una bella lettura anti-capitalista alla luce di un modello, quello nordcoreano, non esattamente virtuoso in termini di diritti e giustizia. Tant'è: la macchina della propaganda di Pyongyang, non troppo distante dalle dinamiche social nonostante la sua natura "fuori dal mondo" l'orgoglioso isolamento internazionale, cavalca l'onda della popolarità del nemico per sfruttarla a proprio uso e consumo interno.

 

 

 

 

 

La Corea del Sud sarebbe, dunque, un inferno dominato dal Dio denaro, dall'economia di mercato e dalle logiche dello sfruttamento. In un post pubblicato da un sito di informazione nordcoreano, emanazione diretta del regime rosso, la serie sudcoreana è una metafora "della società iniqua dove il forte sfrutta il debole" e "dove l'umanità è alienata dalla competizione portata all'estremo". Per certi versi, è curioso come il resto del mondo possa rivolgere le stesse accuse di iniquità, sfruttamento e alienazione anche allo stesso Kim. E senza Netflix.

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