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Vaccini, cosa ci nasconde l'Europa sul "passaporto". "Molto prima del coronavirus", ecco le carte segrete

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Da mesi ormai a Bruxelles si discute del green pass, il cosiddetto passaporto vaccinale, che dovrebbe consentire di mantenere sotto controllo gli spostamenti dei cittadini dell'Unione europea. Ma il green pass, è nato esclusivamente per contrastare la diffusione della Covid-19? Secondo la documentazione raccolta da Affaritaliani.it, la risposta è no. Il lasciapassare internazionale per vaccinati, che consente alle persone di spostarsi da un Paese all'altro, era già nei piani dell'Ue dal 2018. Questo quanto emerge da documenti ufficiali della Commissione europea, riportati dal primo quotidiano digitale italiano. Nell'ultimo decreto riaperture varate dall'esecutivo, l'Italia ha seguito i dettami del Parlamento europeo, che ha approvato il certificato proposto dalla Commissione europea.

"Dal 26 aprile 2021 sono consentiti gli spostamenti tra le Regioni diverse nelle zone bianca e gialla. Inoltre, alle persone munite della 'certificazione verde', sono consentiti gli spostamenti anche tra le Regioni e le Province autonome in zona arancione o zona rossa". Il certificato, andrebbe però ben al di là del semplice spostamento tra Regioni e Paesi. Nel "Proposal for a Council Recommendation on Strengthened Cooperation against Vaccine Preventable Diseases" della Commissione europea, presentato il 26 aprile 2018, l'Ue si pone un problema: i cittadini non si vaccinano. 

 

 

"È inaccettabile che i programmi di vaccinazione siano diventati sempre più fragili; a fronte di uno scarso assorbimento di vaccini, dell'esitazione vaccinale, di un aumento del costo di nuovi vaccini e carenza di produzione e fornitura di vaccini in Europa" si legge nel documento ufficiale. A pagina 16 dello stesso documento, viene poi presentata la soluzione: "È intenzione della commissione esaminare i problemi di copertura vaccinale insufficiente causati dal movimento transfrontaliero delle persone all'interno dell'Ue ed esaminare le opzioni per affrontarle, tra cui lo sviluppo di una carta/passaporto comune per le vaccinazioni dei cittadini dell'Ue, compatibile con sistemi elettronici di informazione sull'immunizzazione e riconosciuto per l'uso transfrontaliero". 

Per mettere in pratica il piano c'è bisogno però di supporti, come quello di "monitorare gli atteggiamenti verso la vaccinazione. Sulla base di tale rapporto, presentare una guida in grado di supportare gli Stati nel contrastare l'esitazione vaccinale" e al contempo combattere le pratiche che invece non la supportano. Non finisce qui: Nel 2019, sempre l'Ue in un altro documento (consultabile qui) ha stilato una road map per rafforzare l'uso di tali vaccini. Tra il 2019 e il 2021 ci sarà la fase sperimentale e nel 2022 adotteremo definitivamente il passaporto vaccinale, si legge. Il documento si riferisce esplicitamente all'uso di vaccini innovativi, proprio come quelli anti-Covid. 

 

 

Viene scritto infatti che bisogna "considerare la possibilità di facilitare, insieme all'Ema, il dialogo precoce con sviluppatori, decisori politici nazionali e regolatori al fine di sostenere l'autorizzazione di vaccini innovativi, anche per minacce per la salute emergenti". Sin dalla prima fase della pandemia si è presto diffusa l'idea tra politici, scienziati e case farmaceutiche, che l'unica via d'uscita non fosse la cura degli ammalati, ma soltanto i vaccini. Trasformando così di fatto il vaccino anti-Covid, nell'affare del secolo. Prima della pandemia, il mercato dei vaccini copriva una fetta ridotta del mercato dei farmaci, tra il 3 e il 4%. Con il Covid la situazione si è capovolta: Alcune case farmaceutiche hanno accresciuto il valore delle proprie azioni anche del 6.400%. Un mercato da 100 miliardi di euro l'anno e che genererebbe ricavi per le case farmaceutiche tra i 40 e i 50 miliardi l'anno. 

 

 

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