Vaccino, 1 milioni di dosi italiane cedute ad altri Paesi: tutto per dar retta all'Europa
Ma con AstraZeneca che non rispetta le consegne e appena 8 milioni di dosi in arrivo ad aprile (in media 267mila al giorno, il che rende impossibile raggiungere l'obiettivo di mezzo milione di iniezioni quotidiane auspicato da Mario Draghi), era il caso che il governo rinunciasse ad ulteriori 404mila dosi del farmaco Pfizer-Biontech, per lasciarle in «solidarietà» ad altri Paesi europei? Perché proprio questo è accaduto nella serata di giovedì. Il che porta ad oltre un milione il totale delle dosi di quel vaccino lasciate sul tavolo dall'Italia: al conto, infatti, bisogna aggiungere le 600mila che il governo Conte avrebbe potuto acquistare e invece pensò bene di cedere ad altri. Cambiano i presidenti del consiglio, ma la linea di palazzo Chigi, almeno in questo, non pare mutare. Tutto dipende dal meccanismo di acquisto e redistribuzione.
La commissione di Bruxelles agisce da centrale: contratta tempi, prezzi e quantità con le case farmaceutiche (nel modo disastroso che si è visto) e poi smista gli arrivi tra i membri della Ue. Ogni Paese dell'Unione, pagando, ha diritto ad ottenere una quota della fornitura di ogni vaccino pari alla percentuale della propria popolazione sul totale di quella dell'Unione. Nel caso dell'Italia, si tratta del 13,5 per cento. Nessuno, però, vieta agli Stati di lasciare agli altri alcune delle dosi cui avrebbero diritto. Ed è proprio questa la scelta che avevano fatto Bulgaria, Croazia, Estonia, Lettonia e Slovacchia: avevano ordinato un quantitativo del farmaco Pfizer inferiore a quello che avrebbero potuto ottenere.
Il motivo è evidente: il prodotto è caro (15,5 euro a dose, mentre quello di AstraZeneca ne costa 2,9) e deve essere trasportato e conservato a temperature molto più basse rispetto al concorrente anglo-svedese. I ritardi di AstraZeneca, però, riguardano tutti i Paesi, non solo l'Italia. E Pfizer, nei giorni scorsi, si era detta pronta a consegnare prima del previsto 10 milioni di dosi: nel secondo trimestre, cioè entro la fine di giugno, anziché in quello successivo. In tempo per "salvare" l'estate, forse. Un "tesoretto" su cui tutti si sono buttati. Soprattutto i cinque Paesi che si trovano più a corto di vaccini degli altri, proprio perché prima non avevano sottoscritto per intero la loro quota di Pfizer. Così stavolta hanno chiesto agli altri ventidue: ce ne date di più rispetto a quelle che ci spet terebbero? Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz ha respinto la richiesta, assieme a tutte le proposte di compromesso avanzate dal Portogallo, che gestiva le trattative. L'Austria si è presa la quota che le spettava sul totale di 10 milioni, pari a 199mila dosi, e lo stesso hanno fatto Repubblica Ceca e Slovenia.
L'Italia, no. Su mandato delle rispettive capitali, gli ambasciatori di diciannove governi, inclusi il nostro, quello tedesco e quello francese, hanno accettato di ritagliarsi una fetta più piccola, in modo da far avere a Bulgaria, Croazia e gli altri, oltre ai vaccini previsti, la quota extra desiderata, una «riserva di solidarietà» pari a 2,85 milioni di dosi, da spartirsi tra loro. Perché ciò fosse possibile, i diciannove "solidali" hanno dovuto rinunciare a circa il 30% delle dosi che avrebbero potuto ricevere. La Germania ha contribuito con 558.000 vaccini, la Francia con 450.000 e l'Italia, appunto, con 404.000. In cambio, il primo ministro lettone Krisjanis Karins e gli altri ci hanno ringraziato «per il notevole sforzo».
L'intera trattativa è stata complicata e nervosa. Kurz, alla fine, ha promesso al premier ceco Andrej Babis 30mila dosi destinate all'Austria, a parziale compensazione del danno che costui ha ricevuto dall'aver rifiutato la mediazione proposta dai portoghesi, accettando la quale Praga avrebbe potuto ottenere 143mila vaccini in più. Così, a conti fatti, l'Italia avrà, da qui a giugno, un milione di vaccini Pfizer in meno rispetto a quelli cui aveva diritto. Prima di quest' ultima rinuncia c'era stata l'inspiegabile scelta di Giuseppe Conte e Roberto Speranza, che per il semestre iniziale del 2021 avevano ordinato 33,9 milioni di dosi del farmaco, anziché i 34,5 milioni che sarebbero spettati pro quota al nostro Paese.
E questo proprio nel momento in cui la macchina messa a punto da Francesco Paolo Figliuolo inizia a muoversi. I punti di vaccinazione sul territorio nazionale sono diventati 2.066, il 30% in più da quando il generale ha preso in mano le operazioni; giovedì è stata superata la soglia delle 300mila iniezioni quotidiane e in molte regioni deve ancora entrare in campo la rete delle farmacie. Il problema tornano così ad essere le forniture, e quel milione di vaccini in meno promette di essere rimpianto.
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