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Breivik, l'ultima follia dello stragista: fondare un partito "contro la violenza"

di Andrea Tempestini domenica 14 settembre 2014

3' di lettura

«Basta violenza, voglio fondare un partito fascista». Lo ha scritto dal carcere Anders Behring Breivik, l’autore delle stragi del 2011 in Norvegia in cui persero la vita 77 persone. Il tono della sua missiva di 34 pagine indirizzata alla magistratura norvegese e al ministro della Giustizia di Oslo, però, più che una richiesta, ha il tono dell’ultimatum. «Voglio fondare un nuovo movimento per evitare altro sangue», si legge nella lettera, ma perché ciò sia possibile chiede che i giudici allentino le restrizioni nei suoi confronti e rimuovano tutti gli ostacoli burocratici volti a impedire la costituzione del «Partito Fascista norvegese» e della «Lega nordica». L’uomo, infatti, starebbe provando a organizzare il tutto dal carcere, compresa la raccolta delle firme che - sempre secondo Breivik - sarebbe stata impedita dalle autorità carcerarie tramite il sequestro della sua corrispondenza. Una versione smentita dai vertici penitenziari i quali sostengono di aver censurato solo ed esclusivamente le lettere che incitavano alla violenza. Ed è proprio questo ciò che fa dubitare del suo presunto pentimento e di quella che lui definisce la sua «conversione alla causa democratica». Perché Breivik, che ha già scontato tre dei ventun’anni di carcere a cui è stato condannato e che, va ricordato, è stato ritenuto sano di mente dal tribunale di Oslo, nella lettera è stato molto chiaro nell’esprimere il suo ravvedimento per ciò che commise il 22 luglio del 2011. «Il mio cuore piange per la barbarie che ho perpetrato quel giorno», ha scritto. «Ma adesso» ha aggiunto «la cosa più importante nella mia vita è lavorare per impedire che qualcosa di simile possa ripetersi in futuro». Il suo obiettivo, dunque, sarebbe quello di costituire un contenitore politico che possa incanalare le richieste più radicali dell’estrema destra norvegese in modo da «istituzionalizzarle» e impedire che l’odio sociale possa manifestarsi in tutta la sua crudeltà. Oltre, però, all’anacronismo di una richiesta del genere, quello che appare davvero impensabile è che all’assassino di 77 innocenti, di cui 69 erano solo ragazzi, quand’anche pentito, venga concesso di portare le sue idee cariche di ideologia nell’agone politico. Un uomo che nell’estate di tre anni fa pianificò e coordinò due attentati terroristici a distanza di qualche ora uno dall’altro. Il primo colpì i palazzi governativi con un autobomba di fabbricazione artigianale che uccise otto persone e ne ferì moltissime altre. Il secondo fu lui in persona a realizzarlo, infiltrandosi in una manifestazione organizzata da un’organizzazione giovanile del partito Laburista norvegese sull’isola di Utoya, fingendosi un poliziotto e sparando sulla folla. Fu una strage in cui morirono 69 giovani. La follia di Breivik, però, non finì quel giorno. Al processo, che lo condannò a 21 anni di carcere, l’uomo si dichiarò dispiaciuto per non essere riuscito ad uccidere più persone e dopo la fine dell’udienza, alzò il braccio destro e fece il saluto fascista rivolto ai familiari delle vititme. Un curioso sondaggio pubblicato da un quotidiano norvegese qualche ora prima del verdetto stabilì che il 72% dei norvegesi voleva che Breivik venisse dichiarato a tutti i costi sano di mente, anche se, nel caso contrario, il killer avrebbe potuto essere internato in una clinica psichiatrica a vita. Il Tribunale di Oslo accontentò l’opinione pubblica e stabilì anche che la condanna avrebbe potuto essere allungata nel caso in cui l’uomo venisse riconosciuto ancora pericoloso per la società. Dal carcere, però, c’era la possibilità che il mostro di Utoya tornasse a far parlare di sé. E così è stato. Breivik è tornato alla carica per il dispiacere dei parenti delle vittime e di tutte le persone di buon senso. di Nicolò Petrali

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