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Carl Jung così scriveva a James Joyce: "Il suo Ulisse mi insulta. Chi l'ha scritto a problemi psichici"

di Giulio Bucchi domenica 17 agosto 2014

3' di lettura

Non troppo si è scritto in Italia sul controverso e annoso rapporto tra James Joyce, considerato con il suo Ulisse tra i pochi scrittori immortali di lingua inglese, e Carl Gustav Jung, il grande psichiatra, psicoanalista e antropologo svizzero. Un rapporto controverso perché Jung, dopo la lettura dell’Ulisse , nel 1932 scrisse un articolo per la rivista Europäische Revue proprio su quel libro che ha sempre diviso lettori e critici. Dal saggio di Jung, possiamo leggere: «Ho affrontato molte pagine con la disperazione nel cuore. L’incredibile versatilità dello stile di Joyce ha un effetto monotono e ipnotico. Nulla viene incontro al lettore, che anzi si allontana, lasciandolo a bocca aperta. Il libro è sempre scritto con uno stile molto alto e comunque lontano, insoddisfatto di sé, ironico, sardonico, virulento, sprezzante, triste, disperato, e amaro. Sì, lo ammetto mi sento preso in giro. Il libro non cerca di venirti incontro, non fa il minimo tentativo di essere gradevole e questo trasmette al lettore la fastidiosa sensazione di una strana inferiorità». In altri passaggi Jung non manca di essere più diretto scrivendo che «una tale opera può provenire solo da una persona con severe restrizioni cerebrali», da un uomo capace esclusivamente di «pensiero viscerale», e che lo ha scritto «col sistema nervoso simpatico per mancanza del cervello». Nel settembre dello stesso anno, Jung inviò una copia del suo articolo a James Joyce, che, dopo averlo letto, si sentì sia infastidito che inorgoglito. Tanto che due anni dopo Jung prese in cura la figlia di Joyce, Lucia, per problemi legati alla schizofrenia.  Anche questa una storia poco conosciuta in Italia: il rapporto di James Joyce con la figlia era molto complesso. Lucia Joyce era un’artista molto più conosciuta del padre come artista, una danzatrice che della libertà corporea fu tra le prime a rendere arte, e anche compagna anche del grandissimo scrittore e drammaturgo Samuel Beckett (dal quale aspettò anche un figlio, ma abortì). Per Joyce, Lucia era al contempo una Musa ispiratrice, ma anche un tormento. E' proprio Joyce a scrivere: «Qualunque scintilla o dono io possieda è stato trasmesso a Lucia, e ha fatto divampare un incendio nel suo cervello padre». E' lo stesso Joyce a decidere, dopo aver letto decine di libri di psicoanalisi e di psichiatri che la figlia soffre di «schizofrenia». Dopo migliaia di sterline spese, ventiquattro dottori, dodici infermiere e tre istituti che l’hanno ricoverata, l’unica speranza resta un luminare, che ci lascerà spunti importanti su questo caso: Carl Gustav Jung. Joyce e Jung non si piacciono ancora prima di conoscersi. L’artista ha il dubbio che in passato, essendosi rifiutato di sottoporsi a un’analisi junghiana suggeritagli da una sua mecenate, Jung abbia convinto la stessa a non sovvenzionarlo più. Joyce decide, comunque, di affidarla alle cure di Jung che, dopo quattro mesi di trattamenti, decide di sospendere la terapia, come si legge in Lucia Joyce. To Dance in the Wake di C.L. Shloss, a pagina 282: «Lucia era totalmente la sua ispiratrice, il che spiega la di lui ostinata riluttanza a vederla dichiarata pazza. La sua propria Anima, psiche inconscia, era così solidamente identificata con lei, che il dichiararla pazza sarebbe stata come un'ammissione di avere in sé, anche lui, una latente psicosi». Jung scriverà quasi vent'anni dopo che Lucia in qualche modo era rimasta intrappolata nella psiche del padre James senza essere in grado di emergerne in maniera indipendente. In quel breve periodo di cure Joyce autografò la copia di Jung dell' Ulisse con questa dedica: «Per Dr. CG Jung, con grato apprezzamento del suo aiuto e consiglio. James Joyce. Xmas 1934, Zurigo». Quando Jung inviò la propria recensione a Joyce la accompagnò con questa lettera, mai pubblicata ad oggi in Italia e che proponiamo qui per la prima in Italia, nella traduzione di Michele Crescenzo. Una lettera che dimostra la grandiosità, anche ironica, di Jung nei confronti di un libro come l’Ulisse di Joyce che tutti citano, ma nessuno ha letto interamente. Anche Jung, come si legge nel finale, è crollato. di Gian Paolo Serino

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