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La real patonza e l'assurda censura nell'era di internet

Spuntano le foto della principessa paparazzata senza mutande: la censura è assurda ai tempi di internet

Eliana Giusto
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  di Simone Paliaga Non c'è censura che tenga davanti a un pube. Tanto più se quel pube è reale (nel senso che appartiene a una futura regina), si potrebbe dire in questo caso. Ma forse bisognerebbe essere più sinceri e ammettere che è finita l'epoca della censura tout court. Le notizie, le immagini, i filmati - si tratti di parti intime di Kate Middleton o di guerre non importa -scivolano tra le maglie della rete che è un piacere. E nessuno pare in grado di fermarle. Certo possono trovare maggiore o minore eco, essere cliccate spasmodicamente da tutti o da nessuno ma se qualcuno le cerca e le vuole là si trovano o attraverso la rete si possono spedire a un giornale disposto a pubblicarle.  E né la famiglia reale inglese né tantomeno un tribunale d'Oltralpe può nulla per imbrigliarlo. Quando anche i poco eleganti tabloid britannici avevano gridato giorni fa allo scandalo per lesa maestà, in Inghilterra si sperava di non arrivare a tanto. Ma quello che si voleva impedire qualche giorno fa, questa volta è successo davvero. Se appena una settimana addietro si trattava soltanto di un seno ora ad attizzare la curiosità di molti sono parti ben più conturbanti. E non basta certo la sgranatura digitale a velarle. La censura ha fallito clamorosamente. Anzi forse ha acuito il gusto e il piacere di provocarla per provare a sottrarvisi. È da ieri mattina che circolano sul web le foto pixellate del nudo totale di Kate Middleton. A lanciare la sfida alla perfida Albione ci ha pensato il settimanale scandalistico danese Se og Hør dopo la sentenza del tribunale francese che ha imposto di restituire le immagini ai legittimi proprietari. Gli scatti immortalano, come si sa, una scena di normale vita quotidiana. Solo che a cambiarsi il costume finendo come mamma l'ha fatta su un terrazzo in Provenza non è una pulzella qualunque ma la futura regina d'Inghilterra. Il ritiro delle foto imposto al settimanale francese Closer che per primo le ha pubblicate, seguito di lì a qualche giorno dal nostrano Chi, diretto da Alfonso Signorini, non è servito a nulla.  Gli avvocati dei Windsor avranno anche fatto un buon lavoro e il tribunale di Nanterre si sarà dimostrato pure ineccepibile nell'applicare la legge ma i tempi degli auto da fè sono eclissati.  Il rogo di carte e pergamene bastava in passato, ora non più. La messa all'indice e i fuochi nelle piazze permettono di arrestare foto e immagini stampate e pubblicate in migliaia, in milioni o addirittura in centinaia di milioni di copie. L'efficacia però di queste forme di bavaglio può arrivare fino a un certo punto. Funziona solo dove il numero di esemplari da distruggere è finito e limitato. Quando, però, la quantità di copie può diventare potenzialmente infinito non c'è bavaglio che tenga. Si troverà sempre qualcuno disposto a duplicarle in qualche luogo irraggiungibile. Così, piaccia o non piaccia sono i nostri tempi digitali. Progresso o civiltà? Boh! Di certo si tratta dell'effetto di nuove e diverse tecnologie che rendono obsoleto ogni tipo di controllo. Lo abbiamo visto qualche anno fa con Wikileaks, quando nemmeno gli Stati Uniti hanno potuto impedire a Julian Assange di diffondere ovunque dispacci e relazioni diplomatiche ritenute segrete. Ora si pensa di fare la stessa cosa con Innocence of Muslims, la pellicola antislamica che secondo taluni sarebbe all'origine dei disordini esplosi nel vicino e nel Medio Oriente. La Casa Bianca ha chiesto a Google di cancellare i filmati non solo da YouTube ma dal motore di ricerca stesso perché esisterebbero decine di portali di video-sharing dove la pellicola è stata caricata. Ma l'effetto potrebbe essere simile a quanto successo alle tette della moglie dell'erede a trono di Inghilterra. Anziché smorzarsi la febbre potrebbe accrescersi, perché le vie di Internet sono infinite. Potremmo discutere finché si vuole. Privacy, diritto all'intimità, tutela della propria immagine sono parole vecchie. Fanno sempre bella figura ma ormai poco possono. Il diritto e la legge che si agitano in queste occasioni arrivano sempre dopo i fatti. Proprio perché vengono create per normarli, per dargli una regola non per prevenirli. E ormai i fatti dicono che per quanti muri si alzino e quante sanzioni si comminino non c'è niente da fare. La rete non solo permette di trasmettere documenti, file ovunque e a chiunque e qualora non si trovi nessuno disposto a pubblicarli fisicamente ci sarà di certo chi li diffonderà virtulamente sul web. Insomma il pube reale s'ha da vedere così come il film sul profeta. E comunque, anche per i pasdaran della privacy, dovrebbe essere sempre meglio un eccesso di seni, di peli o di caricature che un eccesso di censura.  

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