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Il giornalista di Charlie Hebdo: "Rido di Maometto, è un mio diritto"

La vignetta di Charlie Hebdo

Andrea Tempestini
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Pubblichiamo l'intervista di Francesco Borgonovo a Gérard Biard, caporedattore della rivista satirica francese Charlie Hebdo, pubblicata su Libero il 19 settembre 2012. L'ultima volta che ho incontrato Gérard Biard, redattore capo del settimanale satirico francese Charlie Hebdo, ho dovuto raggiungerlo in un pub. In quel momento, infatti, non disponeva di un ufficio né di una redazione: gliel'avevano appena fatta esplodere con una bomba. Era la risposta dei fanatici islamisti al numero speciale del giornale che pubblicava in copertina una vignetta su Maometto. L'avevano intitolato Sharia Hebdo e avevano nominato il Profeta direttore. Nell'illustrazione di prima pagina lo si vedeva allegro mentre diceva: «Cento colpi di frusta se non morite dal ridere». I musulmani non hanno gradito l'ironia e tre giornalisti (il direttore Charb, i vignettisti Luz e Riss) sono finiti sotto protezione. Poco meno di un anno dopo, la storia si ripete. Come allora, il sito del giornale è stato bloccato da un attacco hacker. Le ambasciate francesi sono state chiuse in venti Paesi, per precauzione. La redazione «ha ricevuto in queste ultime ore minacce e intimidazioni». Colpa, ancora una volta, di un pugno di vignette raffiguranti Maometto. Le hanno pubblicate sulla quarta di copertina, dopo il caos scoppiato in Libia per il famigerato film «anti-islamico». In una si vede il Profeta nudo, con una stellina opportunamente posizionata sul sedere e la scritta: «È nata una stella». In un'altra, il medesimo soggetto - sempre senza vestiti - è ritratto in posa lasciva, come una diva viziosa. Secondo Charb, niente di terrificante: «Le vignette sconvolgeranno solo quelli che vorranno essere sconvolti», aveva annunciato. Anche a parere di Biard si tratta di ordinaria amministrazione satirica. «Questa volta non abbiamo fatto un numero speciale», mi racconta al telefono. «C'è una vignetta in copertina (con un musulmano e un ebreo, nda) e altre nelle pagine interne. Non pensavamo che di nuovo sarebbe successo un putiferio del genere. Roba da matti». Dopo tutto, quei disegni sono il loro modo di fare giornalismo. «Perché abbiamo fatto queste vignette? Perché non potevamo fare altro. Siamo un giornale satirico, l'attualità ci ha portato a occuparci di questo argomento. C'è stato il film, il caos in Libia, l'ambasciatore ucciso. L'attualità era quella, la scelta era obbligata». A dire il vero, anche l'anno scorso la decisione di uscire con il fascicolo speciale seguiva precisi avvenimenti. C'era stata la guerra in Libia, si parlava di «sharia dolce». E a Charlie l'hanno interpretata col loro stile. La sensazione, tuttavia, è che quella volta attorno alla rivista ci fosse maggiore calore: «C'è una solidarietà che fa piacere», mi disse Gérard. «Anche da parte dei nostri nemici classici, penso per esempio a Marine Le Pen, al ministro degli Interni...». Adesso, invece, è arrivata una denuncia per incitazione all'odio. Del resto è stato il premier francese Ayrault a invitare chi si sentisse offeso dalle vignette a rivolgersi al tribunale. Insomma, sembra che stavolta questi satirici siano sospettati di provocazione gratuita. «Non è provocazione», mi dice Biard. «Noi facciamo un giornale satirico. Se l'attualità riguarda l'islam, noi ce ne dobbiamo occupare. Siamo da sempre un giornale contro le religioni, se l'attualità è religiosa, che dobbiamo fare, ignorarla? Ti ripeto quello che ti ho detto un anno fa, quando ci accusavano di aver fatto una provocazione per cercare pubblicità. Noi rispettiamo la legge, le provocazioni le fa chi vuole inserire nel diritto francese il delitto di blasfemia». Charlie, che già nel 2006 realizzò una copertina «a rischio» (ritraeva Maometto disperato che diceva: «È dura essere amato da dei coglioni»), ha vinto delle cause in tribunale: «Abbiamo dimostrato chiaramente che nel diritto francese la blasfemia non c'è». A quanto pare, anche il pubblico apprezza. Il numero è andato esaurito, proprio come accaduto dodici mesi fa (se ne vendettero centinaia di migliaia di copie). Ma scontrarsi con gli estremisti di sicuro non è un buon affare, per quanto possano essere soddisfacenti i risultati in edicola. «Non abbiamo organizzato niente, non abbiamo chiesto gli insulti e le minacce. Pensi che ci faccia piacere vedere i nostri computer a pezzi sul marciapiede?», mi ha detto Gérard quando ancora le macerie della sua redazione fumavano grazie a un cura molotov. Le sue parole valgono anche adesso, e non sono quelle di un provocatore. «Avevamo già la scorta, adesso ce l'hanno aumentata. Roba da matti». Appunto. di Francesco Borgonovo

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