La vera storia dei finanziamenti a "Libero"
Il contenzioso fra Agcom e Gruppo Tosinvest è in Cassazione. Certo è che dal 2008 questo giornale non prende un euro pubblico
I lettori mi scuseranno, ma oggi sono costretto a parlare del nostro giornale. Lo faccio a seguito di una notizia che le agenzie di stampa hanno battuto ieri mattina. Si tratta del sequestro di 20 milioni di euro a carico dell'onorevole Antonio Angelucci e dei legali rappresentanti dell'Editoriale Libero e delle Edizioni Riformiste, cioè delle due società che editano rispettivamente Libero e il Riformista. Cos'è successo? Cercherò di spiegare qui in breve una faccenda complessa che non ho vissuto di persona, perché risale all'epoca in cui non dirigevo questo giornale. Partiamo dall'inizio. Il primo numero di Libero esce il 18 luglio 2000 per volere di Vittorio Feltri e di una pattuglia ristretta di investitori. Ai tempi nessun grande imprenditore, men che meno un editore, era disposto a investire una lira (c'era ancora la vecchia cara moneta della Repubblica italiana) in un quotidiano. Risultato: Libero nasce in ristrettezze, in una sede modesta sopra un garage, di fianco a una ferrovia e a un centro sociale. Il suo fondatore racconta che al passaggio dei treni ogni volta tremavano i vetri e ballavano le scrivanie, ma per trovare una sistemazione meno precaria mancavano i soldi. Pochi mesi dopo il lancio della testata, il principale azionista si fa da parte e ne subentra un altro, che in teoria dovrebbe assicurare a Libero un futuro migliore. Invece succede che il nuovo editore cola a picco dopo l'attentato alle Twin Towers, in fondo al mare di Rimini con la sua auto: malore o suicidio le ipotesi, ma è più probabile la seconda. Come si capisce, gli esordi sono stentati e Vittorio Feltri mi raccontò che non dormiva la notte al pensiero di veder naufragare la sua creatura. Libero, piccolo quotidiano senza padroni, nel senso che non ha alle spalle i colossi della carta stampata, chiede perciò di poter accedere ai finanziamenti per l'editoria, prima come quotidiano del movimento monarchico gestito da una cooperativa e poi come giornale di proprietà di una fondazione. E qui siamo al dunque della nostra storia. La fondazione detiene l'intero pacchetto della Editoriale Libero, mentre la testata è di proprietà del Gruppo Tosinvest, che subentrò all'imprenditore suicida. Tosinvest non è l'editore. Non si occupa della gestione di Libero e delle sue scelte giornalistiche. Però Tosinvest, o una sua partecipata, viene ricollegata al Riformista, il giornale che Antonio Polito aveva fondato con l'intenzione di farne una specie di Foglio di sinistra. Anche il Riformista ha chiesto di poter accedere ai finanziamenti pubblici, perché con la direzione di Paolo Franchi in quegli anni si è unito in matrimonio con le Ragioni del socialismo, piccolo giornale di area ex Pci. Insomma, per farla breve, il gruppo Tosinvest, secondo l'Agcom, va in collisione con la legge che stabilisce che non si può essere proprietari di due testate beneficiarie di contributi pubblici. E questa è la tesi sostenuta anche dalla Procura di Roma che ieri ha fatto sequestrare 20 milioni di euro ad Antonio Angelucci, fondatore del gruppo Tosinvest. Naturalmente si vedrà con il tempo della giustizia chi ha ragione. Se l'accusa o l'imprenditore che dichiara di non essere il reale proprietario, perché Libero fa capo a una fondazione senza fini di lucro e il Riformista - con il quale noi non abbiamo nulla a che fare - a un'altra società. Un paio di cose però vanno precisate. La prima è che sul contendere pende un ricorso in Cassazione e dovranno essere i giudici della suprema corte a stabilire se i soldi erano dovuti o meno. La seconda è che, in attesa del pronunciamento di ultima istanza, l'editore si era offerto di rimborsare il denaro ricevuto, scrivendolo in due lettere spedite al dipartimento della presidenza del Consiglio il 23 novembre dello scorso anno e il 5 aprile di questo. Che senso ha far sequestrare dei soldi quando il creditore si offre di versarli da solo senza esservi costretto? Mistero giudiziario. Ciò detto, in questa faccenda di contributi e di leggi da rispettare, c'è una cosa che mi preme chiarire. Dal 2008 questo giornale non riceve un euro pubblico. Li ha ricevuti in passato, ma da cinque anni non ha aiuti diversi da quelli che gli vengono forniti dai lettori che quotidianamente lo acquistano. Io sono diventato direttore il 13 agosto del 2009 e posso assicurare che, se abbiamo sconfitto le Cassandre che si auguravano la nostra chiusura, lo dobbiamo solo ai molti tagli, nonché ai sacrifici della redazione e di chi ha continuato ogni giorno ad acquistarci. I giornalisti si sono ridotti le paghe, accettando contratti di solidarietà piuttosto pesanti, mentre chi compra Libero ha deciso di privarsi quotidianamente di un euro e venti nonostante la crisi economica. Questo giornale ha spesso denunciato sprechi e ruberie, ma garantisco che prima ci siamo guardati in casa e qui di furti con destrezza non ne abbiamo trovati. Forse c'è chi con destrezza approfitta di ogni espediente per farci tacere, questo però è un altro discorso: la redazione non solo non c'entra nulla, ma ne è vittima. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet [email protected]