Cerca
Cerca
+

Bisogna creare tanti piccoli Berlusconi

default_image

Tonfo capitale. Il centrodestra vince solo se ha in campo il Cav: spetta a lui avviare un serio ricambio della classe dirigente locale

Andrea Tempestini
  • a
  • a
  • a

Ci sono molti modi per descrivere ciò che è accaduto ieri alle Amministrative. La lingua italiana ne offre almeno una quindicina e tra questi ci sono sconfitta, disfatta, débâcle, tracollo, fallimento, fiasco, batosta, legnata e altri. Tuttavia il sostantivo più preciso da usare in un simile frangente ci pare annientamento. In alcuni casi il centrodestra è infatti ridotto ai minimi termini, al punto che non è possibile parlare di perdita dignitosa. Nel 23 per cento raccolto a Imperia dal candidato sindaco del Pdl non c'è infatti nulla di dignitoso. Quello che un tempo era il feudo di Claudio Scajola, ras democristiano confluito nel Popolo della libertà, si è semplicemente rivoltato contro l'ex ministro degli Interni e dello Sviluppo. Una rivolta a sua insaputa, ma pur sempre una rivolta. Non sappiamo se gli elettori intendessero davvero premiare il candidato del Pd o l'abbiano scelto perché non avevano alternativa: sta di fatto che non volevano in alcun modo votare l'uomo imposto da Scajola. Non molto di meglio si può dire della sfida che si è svolta nella Capitale. A Roma si combattevano il chirurgo Ignazio Marino e il sindaco uscente Gianni Alemanno, ma già prima che la competizione cominciasse, già prima che si votasse per il primo turno, l'ex missino era dato perdente. I primi a non crederci erano i suoi uomini o per meglio dire lo stato maggiore del Popolo della libertà. Un po' com'era accaduto due anni fa a Milano con la Moratti: tutti sapevano che Pisapia poteva batterla, ciò nonostante il centrodestra aveva deciso di candidarla. Così è stato con Alemanno: la sua era  una morte annunciata, che neppure un avversario fiacco come Marino -  sostenuto con poco entusiasmo dal suo partito - ha potuto evitare. Alla fine il confronto si è chiuso nel peggiore dei modi: con il medico quasi al 64 per cento e l'ex ministro dell'Agricoltura fermo al 36. Una conclusione ingloriosa dell'unica amministrazione di centrodestra della Capitale dopo vent'anni di centrosinistra. A Treviso, storico capoluogo veneto della Lega, sempre ieri si è invece chiuso il ventennio di Giancarlo Gentilini, sindaco e prosindaco per quattro lustri. Passati gli ottant'anni aveva voluto ricandidarsi, sperando forse che la sua figura bastasse a risollevare il Carroccio dal baratro in cui le divisioni e gli scandali del cerchio magico bossiano l'hanno fatto precipitare. Tuttavia l'uomo che fece levare le panchine nel centro della città non è bastato: non c'è stato il tracollo di Imperia o Roma, ma lo smacco è bruciante.  Il Veneto, un tempo patria della Liga, ora ha cinque capoluoghi di provincia in mano alla sinistra e solo Verona e Rovigo a guida centrodestra. Dicevamo dell'annientamento. Non è la sconfitta ad essere in discussione, ma le sue dimensioni.  Su nove  città che si sono presentate alle elezioni nelle mani di maggioranze composte da Lega e Pdl, non una è stata riconfermata. Da Imperia a Roma, da Treviso a Brescia, passando per Viterbo e Catania, tutto è stato conquistato dal Pd e dai suoi alleati. Dopo la caduta della Capitale, al Popolo della libertà rimangono  due soli capoluoghi regionali:  Catanzaro e Campobasso, il resto è retto da giunte rosse. Certo, ci si può consolare con i numeri dell'affluenza e sostenere che Marino e gli altri hanno vinto ottenendo i consensi di poco più del venti per cento degli abitanti delle città chiamate al voto, ma si tratterebbe di un sollievo passeggero. La verità è che nella migliore delle ipotesi i moderati non sono andati a votare perché i candidati non li hanno convinti: nella peggiore perché al candidato di centrodestra hanno preferito il suo avversario.  Perciò, comunque la si giri, è evidente un fatto e cioè che i dirigenti del Pdl e della Lega, sia gli aspiranti sindaci che coloro i quali li hanno scelti, non sono stati all'altezza della situazione. Imperia, Treviso, Roma sono la testimonianza che gli elettori non hanno visto volti nuovi o segni di cambiamento, ma solo il passato che torna. Ed essendo appunto gli uomini messi in lista il simbolo di un tempo ormai trascorso, gli italiani hanno deciso di voltare pagina, chiudendo un capitolo.  La débâcle di ieri dimostra però anche un'altra cosa e cioè che il Pdl vince solo se in campo c'è Silvio Berlusconi, il quale ha senza dubbio molti meriti, compreso quello di essere l'essenza stessa del centrodestra, ma forse ha la colpa di non aver ancora avviato un serio ricambio della classe dirigente locale. Troppi capetti hanno fatto fortuna grazie a lui e ora, nascondendosi dietro di lui, impediscono che si cambi e, quel che è peggio, che li si cambi. La scoppola di ieri forse da questo punto di vista potrebbe perfino essere salutare. La botta è così forte che sarà impossibile fare finta di niente. Perdere tutto forse aiuterà a fare qualcosa. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet

Dai blog