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Colpo di graziaalla fiducia nell'Italia

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Patrimoniale: quella di Mario non è una semplice gaffe: a lui la supertassa piace davvero. Ma dopo le "minacce" chi può porterà le ricchezze all'estero

Nicoletta Orlandi Posti
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  di Maurizio Belpietro Per tranquillizzare i risparmiatori preoccupati per il proprio denaro e restituire agli italiani la voglia di investire nel proprio Paese, ieri Mario Monti ha annunciato che il governo «sta facendo passi» verso la patrimoniale, spiegando che se il quattro dicembre dello scorso anno la tassa non è stata introdotta non solo è causa della contrarietà di  mezza maggioranza, ma perché  «in Italia non erano disponibili informazioni sulla proprietà dei beni».  In pratica, è come dire che l'imposta non è in vigore perché l'esecutivo non ha ancora concluso il suo lavoro, ma appena avrà ultimato i preparativi, e cioè radiografato i patrimoni delle famiglie, la stangata non ce la leverà nessuno.  Poi, resosi conto che le sue parole non erano proprio un invito a nozze per chi ha messo da parte due soldi e si è comprato un appartamento, il presidente del Consiglio si è affrettato a smentire, facendo diramare dal suo ufficio stampa una nota in cui si  precisava che il premier non aveva affatto annunciato una tassazione dei patrimoni. Ma ormai la frittata era fatta. Monti infatti non si era fatto sfuggire una parolina, come ogni tanto capita anche al più misurato  dei conferenzieri e dunque anche all'uomo di ghiaccio che sta a Palazzo Chigi, ma aveva articolato il suo pensiero in maniera piuttosto esaustiva, spiegando di non essere contrario in linea di principio ad un'imposta che colpisse i beni e la ricchezza e precisando di non averla istituita esclusivamente a causa delle difficoltà degli uffici. Anzi, il professore ha aggiunto che «la tassa sui patrimoni va sdrammatizzata, considerato che esiste già in alcuni Paesi estremamente capitalisti» (ha omesso però di aggiungere che quegli stessi Paesi non hanno una pressione fiscale che rasenta il 60 per cento).  Insomma, quella del presidente del Consiglio non è una frase dal sen fuggita, un lapsus o che altro: è un convincimento radicato. A lui la patrimoniale piace. La ritiene una misura efficace, ma vorrebbe evitare di provocare una massiccia fuga di capitali all'estero. Questa e solo questa è stata la motivazione che ad oggi ha evitato che venisse introdotta la tassazione generalizzata su beni e proprietà delle famiglie. Ed è per evitare un «allontanamento» delle fortune che ieri, dopo essere intervenuto al «Financial Times Italy Summit» che si è svolto a Milano, il premier si è rimangiato tutto con un comunicato.  Egli infatti sa bene che quando un ministro o qualche personaggio influente apre bocca evocando la stangata sui patrimoni, alla frontiera c'è chi fa la fila per esportare pacchi di denaro, gioielli e lingotti. Potessero, sposterebbero pure le case con la Gondrand: per il momento non si sono ancora attrezzati ma non è detto che in futuro qualcuno si organizzi. Già, perché se c'è un modo per far fuggire i capitali, scoraggiare gli investimenti e creare insicurezza è proprio quello di continuare a evocare lo spettro che fa paura a chiunque possieda qualcosa. Con le sue paroline, ieri il professore ha dato una picconata alla possibilità di far tornare la fiducia (oltre che la liquidità) sui mercati, perché, come ovvio, se si è evasori si continuerà ad evadere, trovando nella paura della patrimoniale una giustificazione al proprio comportamento illegale, e se si è contribuenti onesti si cercherà, nei limiti del possibile e della legge, di nascondere tutto ciò che si ha alla luce del sole, evitando che le mani rapaci del fisco se ne approprino.   I sistemi ci sono e all'interno ne raccontiamo alcuni. Si dirà: ma se l'Italia è in difficoltà, è giusto che chi ha di più dia il suo contributo, altrimenti non si è patrioti. Certo, tuttavia chi, pagando le tasse, in anni di lavoro ha messo da parte qualcosa, il suo contributo alla causa lo ha già dato. Sono i politici, i cattivi amministratori,  che hanno dilapidato quei soldi ed ora non è giusto che a risarcire il danno siano chiamati gli onesti.  Comincino prima i politici e i cattivi amministratori a saldare il conto. Poi, se sarà il caso, saranno gli altri a mettere mano al portafogli. Infilare le mani in tasca alla gente, infatti, non è mai  una buona azione, soprattutto se a farlo sono le stesse persone che hanno dato un contributo determinante a indebitare il Paese e a precipitarlo sull'orlo della bancarotta.  La logica che porta a prendere i soldi là dove ci sono, come detto, non solo fa fuggire il denaro (che è mobile e spesso non ha un nome e un cognome), ma rischia di impoverire quel ceto medio che non ha la vocazione a nascondersi o a far lo spallone per aprirsi un conto all'estero. Se  non si fanno i tagli alla spesa pubblica, se non si contiene la voracità del fisco, dopo aver dilapidato anche le risorse delle famiglie benestanti e aver distrutto la ricchezza di chi negli anni ha acquisito un certo benessere, cosa faremo: ci consoleremo costatando che siamo tutti più poveri? È a questo che punta il governo? Beh, se è così, non serviva un economista e neppure il rettore della Bocconi: bastava Nichi Vendola. Il quale, ai nostri occhi, è il peggio che ci sia, ma rispetto a Monti ha un vantaggio: almeno ci fa ridere.   

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