Buco da 6 miliardi: ormai la Sicilia è fuori controllo
di Maurizio Belpietro Quest'estate scrivemmo che la Sicilia era tecnicamente fallita e che se fossimo stati in un Paese normale la Regione avrebbe dovuto essere commissariata, abolendo l'autonomia di cui l'isola gode per concessione costituzionale. Il nostro articolo scatenò le ire dei politici locali alla guida di Palazzo dei Normanni, in particolare del governatore Raffaele Lombardo, il quale giunse a minacciare querele milionarie nel tentativo di indurci a tacere. In realtà non avevamo inventato un bel nulla e ciò che pubblicammo era ampiamente documentato da cifre e inchieste. Non a caso, dopo pochi giorni il vicepresidente della Confindustria, Ivan Lo Bello, rilasciò un'intervista in cui ribadiva i nostri concetti, proponendo di accantonare lo statuto speciale a favore di un controllo governativo della Regione, pena l'impossibilità di pagare nelle settimane successive gli stipendi ai propri dipendenti. Sull'onda della polemica si mosse perfino il presidente del Consiglio, il quale convocò a Palazzo Chigi il presidente della Regione, convincendolo a non tirarla per le lunghe con le dimissioni, ma ad accelerarle per dare al più presto un governo all'isola. Una decisione che Mario Monti accompagnò con un grazioso assegno di poco meno di un miliardo, soldi pubblici che servirono a rimpinguare le casse siciliane e che Lombardo ha usato in questi mesi per promettere assunzioni e posti, argomenti formidabili in campagna elettorale. Fin qui la cronaca, ben nota ai lettori di Libero, i quali sanno che della questione siciliana il nostro giornale ha fatto una bandiera, convinto che in periodi di sobrietà (l'austerity, o per meglio dire la stangata, si chiama così in onore al politicamente corretto) l'Italia non si possa più permettere gli sperperi di una Regione come quella guidata da Raffaele Lombardo. E a conferma di quanto sia urgente intervenire, ecco arrivare l'ultima analisi della Corte dei conti. Secondo quanto riferisce il settimanale ASud'Europa, centro Pio La Torre, i magistrati con la calcolatrice hanno stimato in sei miliardi il buco dell'amministrazione isolana. Una voragine che si è aperta proprio negli anni a guida Lombardo, con un governatore ex centrodestra sorretto da una maggioranza di centrosinistra. Altro che laboratorio politico, come vorrebbero far credere da quelle parti. A Palermo hanno dato vita alla più spericolata operazione di camaleontismo a spese delle casse pubbliche. Gran parte dei debiti è stata infatti accumulata fra il 2007 e il 2011, raddoppiando, a causa delle spese per il personale e di quella sanitaria, che da sola si pappa quasi la metà del bilancio regionale. Nel conto non ci sono però soltanto i costi per il funzionamento degli ospedali e i soldi per pagare gli stipendi ai dipendenti. Una montagna di denaro se ne va anche a causa delle molte società regionali, presso le quali sono impiegate 7 mila persone, per una somma complessiva che supera i 220 milioni annui. Il solo scoperto di cassa, nel 2011, ha raggiunto i 431 milioni, 228 dei quali di soli interessi versati alle banche. Un dissesto finanziario cui la Regione non sa più come far fronte, se non bussando a quattrini con l'odiato potere centrale. Del resto, altro che autonomia siciliana. Macché Regione in credito con Roma, come Palazzo dei Normanni ogni tanto prova a dare a intendere. È la Regione ad essere in debito e non il contrario. Secondo la Corte dei conti, il principale creditore della Sicilia è lo Stato, con il ministero delle Finanze, seguito dalla Cassa depositi e Prestiti e dalla Banca europea degli investimenti. Sei miliardi non sono bruscolini e chiunque sapesse far di conto avvierebbe una cura dimagrante dell'ente Regione. Chiunque, ma non gran parte dei politici siciliani, i quali, incuranti degli allarmi della magistratura contabile, in queste settimane hanno fatto campagna elettorale con i soliti sistemi, promettendo cioè di sistemare chi darà loro il voto, nel più puro stile clientelare del Mezzogiorno. Non sappiamo chi a questo punto sarà eletto, se il candidato della sinistra Rosario Crocetta, che è sponsorizzato dall'Udc e non dispiace a Raffaele Lombardo, oppure quello del centrodestra Nello Musumeci, lanciato e subito ripudiato da Gianfranco Micciché. Ma chiunque sia il prescelto dagli elettori, noi ci auguriamo che alla prima assunzione del nuovo corso il governo faccia ciò che avrebbe dovuto fare da tempo per impedire una campagna elettorale inquinata dai soldi: chiuda i rubinetti. Non si può essere credibili e non si può chiedere agli italiani di sopportare altri tagli, se prima non si comincia a tagliare il bilancio della Sicilia. Ogni giorno che passa quella Regione fa da giustificazione per tutti coloro che non vogliono versare le tasse: se i miei soldi servono per regalarli a Lombardo e ai suoi gattopardi, io non pago.