Pur di salire al Quirinale Casini venderà l'anima
La parabola dell'ex portaborse di Forlani: uscito vivo dal naufragio Dc, ha fatto carriera grazie a Berlusconi e ora è pronto a consegnare il paese ai comunisti
di Maurizio Belpietro Conosco Pier Ferdinando Casini da una ventina d'anni, più o meno da quando finita la Dc si è messo in proprio, fondando il Ccd, centro cristiano democratico. Fino ad allora Pier era stato un uomo di secondo piano della Dc, al servizio prima di Franco Bisaglia e poi di Arnaldo Forlani. Era poco più di un portaborse e nessuno avrebbe scommesso un soldo bucato su di lui. Anzi, sembrava uno dei capetti democristiani destinati a spiaggiarsi insieme con la Balena Bianca. Ma il giovane bolognese nel momento peggiore per lo Scudocrociato si rivelò più furbo di tante vecchie cariatidi del partito. Squassata dalle inchieste giudiziarie, per salvarsi la Dc scelse di cambiare nome e di buttarsi a sinistra. Com'è finita si sa. Riverniciare l'insegna e mettersi nelle mani di Mino Martinazzoli non portò fortuna al partito che un tempo superava il 30 per cento dei voti e quasi tutti i dirigenti diccì sono finiti, come Rosy Bindi, a far da gregari ai vecchi avversari comunisti. Tutti tranne lui, che nel momento del naufragio anziché raccogliere le ciambelle di salvataggio che venivano lanciate dal Pci scelse di salire su una minuscola zattera e di farsi portare dalla corrente berlusconiana, scegliendosi come compagno di viaggio un già compromesso Clemente Mastella. Perché lo fece? Perché non prese la decisione più facile, aderendo al Partito popolare come molti suoi amici, da Franceschini a Lusetti? La risposta non la conosco, ma so che la scelta seppur rischiosa lo ha premiato. Oggi nessuno dei vecchi amici conta qualcosa. Non Fioroni o Marini, che pure facevano parte del battaglione democristiano che si arrese alla sinistra mettendosi al suo servizio. In compenso Pier è sempre lì, con le mani in pasta, a fare e disfare governi. Chi l'avrebbe detto nel 1994 che il giovane assistente di Forlani sarebbe stato uno dei più ascoltati leader della maggioranza di un governo tecnico? Chi avrebbe immaginato allora, quando fondò il piccolo Ccd, che il ragazzo di bottega di un ras doroteo come Bisaglia avrebbe salito gli scalini fino a divenire presidente della Camera nel 2001 e a progettare altre e più importanti conquiste nel 2012? Di tutto questo riflettevo ieri, leggendo l'intervista di Casini al Corriere della Sera, in cui il leader dell'Udc, annunciava per le elezioni di primavera di voler correre da solo, valutando in un secondo tempo l'alleanza con Pd e Sel. Come sempre, Pier si tiene le mani libere, pronto a giocare tutte le carte senza impegnarsi e, soprattutto, pronto a far pesare al massimo il suo sei per cento. Già, perché il suo partito non è mai andato oltre quella cifra e anzi in qualche elezione si è avvicinato più al quattro per cento che al sei. Ma Casini quei voti ha sempre saputo farli fruttare al meglio, usando tutto il suo potere per piegare gli alleati. Lo ricordo quando era al fianco di Berlusconi. Senza mai rompere, come invece ha fatto Gianfranco Fini, Pier ha ottenuto dal Cavaliere tutto ciò che ha voluto. Da presidente della Camera stoppò quanto non gli piaceva e se lo fece passare fu facendolo pagare a caro prezzo, con nomine o altro. In vent'anni l'ex giovane portaborse ha dimostrato di saperci fare e di avere coraggio, senza temere le scelte indipendenti. Come nel 1994 decise di correre da solo, uscendo dalla Dc per fondare il Ccd, nel 2008, dopo aver rotto con Berlusconi e aver scommesso sulla sua caduta, decise di star fuori dal Pdl. Scelta rischiosa, che avrebbe potuto portarlo all'isolamento, soprattutto dentro il suo partito, dove molti suoi amici non erano certo abituati a rimanere a secco di poltrone. Pier invece ha resistito e ora si prepara ad incassare il premio di tanta pazienza. Sì, perché è evidente che lui non ha fatto tutto ciò per niente. Pier da tempo ha un obiettivo e lo persegue con determinazione. Berlusconi credeva che il prezzo fosse Palazzo Chigi, ma si sbagliava. Il leader dell'Udc non vuole per sè il posto che ora occupa Mario Monti. Quella è una poltrona che scotta e richiede troppo impegno. No, no, molto meglio trovarne una di prestigio e di poco sforzo come quella del Quirinale. Il presidente del Consiglio anche quando fa bene è oggetto di critiche, al contrario il capo dello Stato per far bene è sufficiente che ogni tanto faccia qualche critica, comportandosi un po' come un nonno saggio, tanto si sa che poi il peso delle scelte non grava su di lui. Ecco Pier vuole il Colle. Non gli interessa chi governa, se Vendola o Bersani. A lui preme solo il Quirinale. Le vesti di carica dello Stato le ha già indossate una volta, ci si è trovato bene e vuole rimetterle, ma questa volta le vuole senza neanche i fastidi dei riti parlamentari: solo con gli onori e i corazzieri. E poi la presidenza della Repubblica è il massimo che si può ottenere. Sette anni garantiti, senza rischi di crisi o avvisi di garanzia, e con in più la pensione di senatore a vita assicurata una volta lasciato l'incarico. Ecco, questo è l'obbiettivo. Per un posto del genere Pier è pronto a giocarsi tutto e anche a vendersi l'anima. Anzi, no: più che la sua anima è pronto a vendere l'Italia. [email protected]