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Prof, lasci stare il bisturiQui ci serve la scure

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Monti si piega al rito della concertazione e il rischio ora è che sindacati e partiti annacquino anche i pochi veri risparmi previsti dal provvedimento

Andrea Tempestini
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Sono passati meno di otto mesi, ma dal giorno in cui Mario Monti si insediò sembra trascorso un secolo. In poco più di metà anno, il governo tecnico ha dilapidato un patrimonio di fiducia e credibilità. Quando l'ex rettore della Bocconi mise insieme la sua squadra e preparò la manovra per aggiustare i conti dello Stato, nonostante i provvedimenti fossero temuti, nessuno si azzardò a protestare. Come di fronte a un preside severo dopo una ricreazione troppo rumorosa e dannosa, partiti e sindacati erano pronti a subire la punizione. Ora, invece, è bastato che si annunciasse l'intenzione di tagliare la spesa,   riducendo del venti per cento i dirigenti della pubblica amministrazione e del dieci i dipendenti dello Stato e degli enti locali, che subito si sono levate le proteste e la maggioranza vacilla. Si lamentano i partiti, anche quelli che in teoria hanno annunciato di voler candidare Monti a capo  di un nuovo governo nel 2013.  Si preparano allo sciopero i sindacati, i quali proprio dalla pubblica amministrazione traggono il grosso dei loro iscritti e dei loro fondi. L'obiettivo, ovviamente, è di ridurre la portata dei provvedimenti, minandone l'efficacia e annacquandone gli effetti. La stessa strategia che ha portato a trasformare la riforma del mercato del lavoro in una controriforma, una finta modernizzazione che soltanto la miopia degli euroburocrati ha impedito di vedere per quel che è, ovvero una boiata pazzesca (copyright del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi).  La spending review, la formula magica con cui l'esecutivo intenderebbe ridurre le spese e trovare i 4,5 miliardi necessari ad evitare di alzare di due punti l'Iva, rischia dunque di fare la stessa fine, avviata sul binario morto della concertazione. Riunioni, tavoli, trattative, mediazioni. Un rito della prima Repubblica che il presidente del Consiglio appena nominato si era impegnato ad evitare. Al contrario, la liturgia del confronto è già cominciata e rischia di concludersi male per i conti dello Stato. Eppure, c'erano tutti i presupposti per fare ciò che nessun governo nella storia repubblicana aveva mai fatto. La più grande e la più bloccata delle maggioranze parlamentari; la più straordinaria delle paure della gente di veder fallire il proprio Paese; il più forte appoggio della presidenza della Repubblica; il più deciso sostegno dell'Europa. Ciò nonostante Super Mario si è inceppato, come riconoscono anche i suoi sostenitori e dunque eccolo qua, a mercanteggiare con la sua maggioranza, in particolare con la parte di sinistra. Il rischio di non incidere a fondo sui veri centri di spesa si fa quindi concreto.  Per quanto  se ne scriva su ogni giornale, esiste il pericolo che anche stavolta non si abbia il coraggio di imporre i costi standard nelle spese della sanità, adeguando gli acquisti delle Asl al prezzo minimo ottenuto dalla pubblica amministrazione. In tal modo i listini delle siringhe non saranno uguali dalle Alpi alla Sicilia e così pure accadrà per i prezzi di bisturi e garze. Per rassicurare sindacati e partiti, Monti dice che non procederà con l'accetta e invece è proprio quello che dovrebbe fare, perché non è di incisioni con il temperino che la spesa pubblica ha bisogno. Nelle anticipazioni diffuse dalle agenzie a proposito dei provvedimenti leggiamo che si vorrebbero ridurre del dieci per cento i permessi sindacali e della stessa percentuale i compensi che lo Stato paga ai Caf e ai patronati (cioè sempre a Cgil, Cisl e Uil) per le pratiche previdenziali e fiscali che gli organismi confederali si impegnano a fare.  Ma come, ai contribuenti si chiede lo sforzo massimo e al sindacato quello minimo del dieci per cento? Va meglio con le auto blu che, secondo le anticipazioni, dovrebbero calare del 50 per cento, mentre per ora non è chiaro come si ottempererà alla promessa di eliminare le Province. Nelle intenzioni del governo c'è anche il blocco degli affitti della pubblica amministrazione, misura sensata che però non risolve il problema delle ragioni per cui lo Stato deve affittare palazzi quando possiede una quantità di immobili sfitti e inutilizzati. Per quel che riguarda le tariffe di gas e luce elettrica l'esecutivo, a quanto pare, pensa ad un blocco, vietando alle authority di adeguare i prezzi all'inflazione. Insomma, nel tanto atteso piano di tagli sono enunciate alcune buone intenzioni ma ne mancano molte altre. Tuttavia, la domanda cui occorre rispondere è quanto resterà anche di quel poco di buono e quanto sarà cancellato dalla rivolta della Casta. Siamo pronti a scommettere che persino le piccole limature ai fondi che lo Stato versa ogni anno ai sindacati alla fine spariranno. Sia chiaro:  noi, tifando per una spending review vera, in caso perdessimo la scommessa saremmo pronti a fare ammenda. Ma Super Mario farà altrettanto se non riuscirà a tagliare davvero la spesa pubblica? Non ci resta che attendere i prossimi giorni e vedere se avrà il coraggio di alzare la voce e picchiare i pugni sul tavolo.     di Maurizio Belpietro [email protected]

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