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Ecco perché rischiamo il fallimento

Padoan (Ocse): "Niente illusioni, l'Italia non è troppo grande per fare crac". Sui titoli di stato è attacco mondiale

Lucia Esposito
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Le cose si erano messe male già venerdì, ma era difficile immaginare che la bufera si intensificasse a tal punto. Con Piazza Affari maglia nera d'Europa, a quota -3,82%, e i Btp sotto assedio, con lo spread decollato a 407 punti base e un rendimento schizzato al 6,14%. La paura di un contagio della crisi tiene sotto pressione tutti i mercati del Vecchio Continente (Parigi -3,16%, Francoforte -3,23% e Madrid -3,82%) e la tensione resta alta su tutti i titoli di Stato. Ma l'Italia, dopo i pochi giorni di tregua prodotti dalla lettera del governo alla Ue, sembra essere tornata nell'occhio del ciclone come, se non peggio, di questa estate. Neppure l'intervento della Bce, che ha acquistato a mani basse i nostri Btp sul mercato secondario, è riuscito a raffreddare i mercati. Ad alimentare il panico ci sono le voci sui piani di emergenza di Ue, Fmi e banche centrali. Ma anche dichiarazioni pubbliche pesanti come macigni. A partire da quella del capo economista dell'Ocse, Pier Carlo Padoan, secondo cui «pensare che nessuno ci farà fallire perché siamo troppo grandi come italiani è un gioco troppo pericoloso e non vero».E nella testa sono immediatamente ritornate le parole di Nicolas Sarkozy, che la settimana scorza, commentando l'accordo Ue, aveva sentenziato: «Se la Grecia fallirà, l'Italia sarà la prossima». C'è poi il carico messo da Berlino, dove il ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble, in diverse interviste, incalza Roma a «fare i suoi compiti» perché «non possiamo risolvere i problemi dell'Italia in Germania». Ma a gettare benzina sul fuoco contribuiscono soprattutto operazioni meno visibili che avvengono nelle sale operative delle Borse e degli intermediari. A sentire Guido Crosetto, sottosegretario alla Difesa con il pallino dell'economia, si ha «l'impressione che il balzo dei rendimenti dei Btp abbia una giustificazione tecnica reale». La settimana scorsa, spiega, l'Eba (l'authority bancaria europea) ha ravvisato la necessità di un intervento che invitasse le banche a valutare i titoli di Stato in portafoglio, ai prezzi di mercato, integrando l'eventuale insufficienza sul capitale temporaneo». La conseguenza di questa «genialata», oltre alla speculazione, «è stata quella che gli istituti del nostro Paese si sono trovati in difficoltà nel presentarsi alle aste dei bond». Allargando il ragionamento, è facile giungere alla conclusione che l'allarme di Bruxelles stia spingendo anche le banche europee a disfarsi dei nostri titoli. Del resto, come ha scritto Moody's nel suo rapporto settimanale, su un campione di 252 istituti di credito risulta nei confronti del nostro Paese un'esposizione di 275 miliardi, il valore più alto in assoluto del Continente. Chi non ha perso tempo è il colosso bancario inglese Barclays, che nel trimestre chiuso il 30 settembre ha ridotto l'esposizione verso titoli di Stato italiani del 24%, da 6,6 miliardi di sterline a 4,1 miliardi.  Il risultato è la sfilza di record collezionati non solo dal Btp decennale, ma anche da quelli a 5 e a 2 anni. Quest'ultimo è volato oltre la soglia del 5%, segnando i massimi da luglio 2008, mentre il Btp a cinque anni ha sfiorato la soglia del 6%, segnando il nuovo massimo dall'introduzione dell'euro nel 1999. E questo lo scenario di fuoco in cui oggi si insedierà il nuovo presidente della Bce, Mario Draghi, che giovedì sarà subito chiamato ad un doppio lavoro. Prima il consiglio dell'Eurotower, che dovrà decidere sui tassi d'interesse e sugli acquisti dei titoli di Stato, che hanno già raggiunto 174 miliardi di euro. Poi di corsa al G20, dove il banchiere presiederà per l'ultima volta il Financial stability board e presenterà la black list, l'elenco delle 29 grandi istituzioni finanziarie in grado di generare danni all'intero sistema in caso di difficoltà. di Sandro Iacometti

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