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A questi prezzi i Btp sono un affare

Al Tesoro i titoli del debito pubblico costano sempre più cari. Ma con i rendimenti in crescita si trasformano in un investimento redditizio

Andrea Tempestini
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Lasciamo perdere gli interessi dello Stato. L'investitore pensa ai propri, il cittadino pure. Di questi tempi chi ha liquidità e pensa di acquistare Btp o altri titoli di debito “rischia” pure  di fare un buon affare. Ormai tutti sanno che i  titoli di Stato sono nell'occhio del ciclone tanto che chi decidesse in questi giorni di vendere le emissioni che si trova in portafoglio andrebbe incontro a una perdita. Certo come le tasse. I titoli decennali hanno quotazioni vicine a 95-96, i Btp a cinque anni di circa 97, così come i titoli a tre anni. I trentennali vengono scambiati addirittura al di sotto di 84 punti. Alcuni Cct, come quello con scadenza luglio 2016, hanno valutazioni inferiori a 90. In parole povere  significa che vendere oggi diecimila euro puntati su queste scadenze e tipologie di titoli espone a perdite che variano dai 400-500 euro dei decennali, agli oltre 1.500 di un trentennale.  Un migliaio per un Cct. Tenere questi titoli fino alla scadenza è l'unico modo per non subire perdite immediate. L'investitore che si ritrova invece tra le mani liquidità e punta sulle nuove emissioni spunta rendimenti nettamente superiori al 5%. Il mese scorso ci sono state punte che hanno rasentato il 6,3%. Nonostante ieri lo spread tra buoni decennali e bund tedeschi sia salito ancora di più, superando i 380 punti, i rendimenti delle ultime emissioni sono leggermente scesi più che altro per merito dei titoli germanici (al minimo storico). Il tasso resta sempre molto appetibile. E comperare roba tedesca non conviene affatto. Soprattutto perché le quotazioni arrivano anche a 104,7 mentre alla scadenza ne verranno comunque rimborsati 100. Di conseguenza anche se obbligazioni come quelle di Intesa e Unicredit (scadenza 2018) rendono addirittura il 10,5 e l'11%, il titolo di Stato di nuova emissione resta una buona pagnotta da mettere in dispensa. A meno che salti il banco e fallisca l'Italia.  Ma è più roba folcloristica o materiale da scommettitori. Non da economisti. Sono diversi i bookmaker internazionali che hanno aperto le giocate sui prossimi scenari finanziari. L'Italia è tra i Peasi più fragili al momento: William Hill quota a 2,38 che il Bel Paese sia costretto a chiedere finanziamenti. La Spagna segue a 2,75, Cipro a 3,50. La permanenza in Europa  non sembra  essere messa in discussione da alcuno: l'Italia viene data a 10,00, mentre la Grecia già con un piede di  fuori (1,10). Portogallo e Spagna sembrano quasi salve (rispettivamente 5,00 e a 6,00). Situazione incerta quella dell'Irlanda: la permanenza in Europa sembra certa (8,00), nonostante il default venga quotato a 2,20. Due numeri giusto per chi volesse invece dei cavalli puntare su qualcosa d'altro. Di scommesse più «serie» si parlerà in altra sede fra pochi giorni. Entro la settimana è infatti attesa la sentenza del processo di revisione aperto lo scorso 17 giugno da Moody's. Secondo molti analisti ci sono numerose possibilità che il debito italiano venga declassato. Il che comporterebbe a breve un'impennata dei rendimenti dei titoli con due ulteriori conseguenze. Da un lato gli interessi sul debito schizzerebbero verso l'alto rendendo di fatto obbligata una nuova manovra, visto che quella non ancora varata rischia di essere già bruciata dalle attuali turbolenze. Dall'altro lato un eventuale downgrade renderebbe ancora più appetibili per i cittadini/investitori i Btp. Soprattutto quelli decennali. Mentre da continuare a guardare con diffidenza le emissioni di titoli legati all'inflazione. Anche se le crisi di debito nel breve tendono a creare disinflazione. Tanta incertezza e poche garanzie. Non a caso l'oro e i metalli preziosi  sembrano risalire la china all'infinito. Ma a chi continua a elogiare i lingotti come beni rifugio va  ricordato un aspetto. Nel breve periodo il metallo giallo ha sbalzi d'umore fortissimi e chi ora acquista fondi o prodotti finanziari con un sottostante a 1900 dollari all'oncia, rischia in poche settimane di assistere a un crollo verticale. Il vero affare l'ha fatto chi ha comperato due anni fa. Ma le lancette dell'orologio non tornano indietro. di Claudio Antonelli

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