Il gioco di Mediobanca: dai una cosa a me e non ci guadagni

Cosa c'è davvero dietro l'Ops di piazzetta Cuccia su Banca Generali: un piano che riguarda il futuro dell'Italia
di Mario Sechimartedì 29 aprile 2025
Il gioco di Mediobanca: dai una cosa a me e non ci guadagni
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Viviamo tempi straordinari, dove succedono cose paranormali: la Chiesa cerca un nuovo Papa, Zelensky e Trump fanno prove tecniche di pace in San Pietro, Macron tenta di imbucarsi al Conclave, quella che era un tempo l’Italietta diventa un esempio mondiale di stabilità. Siamo dentro la storia, tra Cesare e Dio, manca un capitolo fondamentale, il denaro, la moneta della parabola di Gesù quella in cui disse “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”.

Ecco, nel campo della finanza viviamo tempi altrettanto straordinari, Trump ha chiuso l’era della globalizzazione e ha aperto un’epoca di dazi e riequilibrio del commercio mondiale, si prepara a una deregulation bancaria mentre le politiche delle due banche centrali, la Fed e la Bce, sembrano destinate a separarsi. In questo scenario, in Italia è in corso quello che nelle cronache è chiamato “risiko bancario”, ieri la penultima mossa l’ha fatta Mediobanca che essendo sotto scalata di Caltagirone e Del Vecchio prova a sfuggire alla presa per conservare il suo antico potere di allenatore, arbitro e centravanti della finanza italiana.

Troppo, lontanissimo dalla “finanza democratica” di cui si automedagliano a Mediobanca, manco fossero Mattioli e Cuccia. Non ci sono loro, c’è Alberto Nagel, numero uno di Mediobanca da vent’anni, che ha proposto a Generali (uno dei colossi assicurativi europei) di cedere Banca Generali. Sembrerebbe una cosa normale, un’aggregazione nel settore del credito e via, ma così non è, provo a spiegare perché siamo in realtà in una scena di dadaismo finanziario. Cosa sta dicendo Nagel al mercato, o meglio a quelli che non si bevono quello che racconta? Tu mi dai una banca, io ti do le mie azioni che casualmente sono anche il tuo capitale; io mi prendo la banca, tu le azioni che per un po’ dovrai anche tenere congelate; io mi difendo da Caltagirone e Del Vecchio, tu mi dai una mano riducendo il tuo portafoglio di attività e diversificazione; io sono il tuo azionista, esco dal capitale, passo dal ruolo di socio a quello di partner finanziario, tu non fai un plissé e mi dai la tua banca; io cambio la composizione del tuo capitale, ti costringo ad alzare i parametri di garanzia e tu gridi di gioia; io ti tolgo il prosciutto dal panino degli azionisti di Generali, tu approvi e poi si vedrà. Nagel è un genio, perché non solo questa operazione avviene mentre Mediobanca è oggetto di una Ops da parte di Caltagirone e Delfin, dunque sotto passivity rule e dovrebbe astenersi dal fare azioni difensive, ma il socio che ha con il suo voto determinante nominato il nuovo Cda ora si attende che lo stesso Cda dica sì a tutto questo e sia così totalmente delegittimato agli occhi del mercato.

Banca Generali dice: l’operazione non è concordata! Perbacco, visti i pezzi sulla scacchiera, se lo dicesse, ci sarebbe solo da chiamare i carabinieri. Quello che ho raccontato in sintesi ai nostri lettori dà la precisa idea del Far West in cui sono abituati a muoversi gli amministratori di Mediobanca e Generali, la coppia di fatto Nagel-Donnet (quest’ultimo nominato per la quarta volta amministratore delegato di Generali, con il voto decisivo diMediobanca) che non fa riferimento al capitalismo italiano, ma a un rapporto privilegiato con la grande finanza francese, l’Eliseo e un asse politico-finanziario che punta a fare di Parigi un polo più forte di Londra in Europa, con l’Italia ridotta a pedina di un gioco dove con il termine Europa si nascondono i piani egemonici (che sono già a buon punto) della Francia.

Il Monte dei Paschi andrà avanti nel suo piano per il controllo di Mediobanca, ma sopra e sotto questa storia, pur non cambiando granché la cifra del piatto sul tavolo da poker, c’è un dietro le quinte che è il vero spettacolo della faccenda: l’Italia è un terreno di caccia di risparmio privato di ottima qualità, quello delle famiglie e degli imprenditori che hanno sudato, accumulato ricchezza, costruito il benessere del nostro Paese, le fondamenta di un “Italian Way Of Life”che tutti ci invidiano. Ecco che tra Cesare e Dio, spunta la moneta, il denaro che per il destino dell’Italia in questo momento è la vera partita in corso, si chiama sovranità finanziaria. Non c’entra niente con il sovranismo (quella è una stupidaggine che tirano fuori i finanzieri senza patria per accusare il governo), è invece il potere della nazione di guidare la propria politica economica, di poter contare su un sistema bancario che acquista i titoli di Stato italiani e non punta alla roulette del debito su quelli dei francesi, che promuove investimenti nel nostro territorio e lascia il campo libero alle incursioni di raider che vanno a caccia di asset di qualità per tappare i buchi del groviera che hanno prodotto all’estero.

Mentre si cerca un altro Papa e si negozia tra guerra e pace, speriamo che lo Spirito Santo e la storia della moneta di Gesù ispirino il governo e quei pochi capitalisti-patrioti che ci sono rimasti: diamo a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio, all’Italia quel che è dell’Italia.