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Rating, non gioisce solo il governo: l'incremento fa bene a imprese e lavoratori

Sia per le banche sia per le società, il rating più alto significa poter raccogliere risorse sul mercato a prezzi più bassi
di Sandro Iacometti lunedì 21 aprile 2025

3' di lettura

Fingiamo per un attimo che la promozione di Standard & Poor’s sul merito creditizio dell’Italia sia quello che sostengono le opposizioni: una medaglietta di nessun valore che il ministro dell’Economia Giancarlo può appuntarsi sul petto quando presenzia ai vertici internazionali. Fingiamo che per due anni quelle stesse opposizioni non abbiano preannunciato, sperato e fortemente auspicato che le autorevoli agenzie di rating smascherassero le incapacità del nuovo governo dando legnate a più non posso sull’inaffidabilità dei nostri conti pubblici, sul debito fuori controllo e sulla sfiducia dei mercati nei confronti dell’Italia.

Fingiamo che avere i conti in ordine non significhi avere più potere contrattuale in Europa nella definizione delle regole contabili e dei vincoli di bilancio. Fingiamo, infine, che l’aumento del rating non comporti automaticamente una discesa dei rendimenti dei titoli di Stato e quindi meno interessi passivi per rifinanziare il debito e quindi maggiori risorse pubbliche a disposizione per investimenti nel welfare e nell’economia.

Ecco, quello che sfugge a chi, roso dall’invidia, ha accolto la decisione di S&P con un’alzata di spalle sostenendo che “ben altri” sono i problemi del Paese che devono essere risolti, è che la medaglietta sul petto di Giorgetti produce effetti a cascata proprio su quella economia reale che la sinistra dice di voler difendere. A beneficiare dell’aumento del rating infatti non è l’ego del governo e del premier Giorgia Meloni, ma sono le nostre imprese.

In che modo? È presto detto. Gli espertoni radical chic erano forse troppo impegnati ad insultare il centrodestra che si vantava dell’upgrade per accorgersi che, come solitamente avviene in questi casi, la promozione si è rapidamente estesa a tutte quelle società che hanno a che fare con i titoli di Stato, come banche e assicurazioni, o con i conti pubblici, come le partecipate del Tesoro. Sono ben quindici, ad esempio, gli istituti di credito che negli ultimi giorni hanno visto migliorare il giudizio di S&P sul loro debito. Tra queste Intesa Sanpaolo, Unicredit, Bpm, Mediobanca, Finecobank, Mediolanum, Bper, Iccrea ed Mcc.

Ma non è tutto. L’agenzia americana ha infatti provveduto a promuovere anche diverse controllate pubbliche, a partire dalla Cassa depositi e presiti alle Poste, da Autostrade per l’Italia a Terna e Snam. In molti casi riconoscendo un potenziale che le società già esprimevano ma che era precluso per questioni procedurali. Terna e Snam, ad esempio, avevano già un giudizio stand alone (il merito di credito a prescindere dall’azionista di riferimento) pari ad A-, ma poiché nelle metriche di S&P una controllata non può avere più di un gradino di differenza rispetto allo Stato si sono dovute finora accontentare di BBB+.

Promossa l’Italia, ora possono finalmente avere il voto che spetta loro. Medaglie senza significato? Non proprio. Sia per le banche sia per le società, il rating più alto significa poter raccogliere risorse sul mercato a prezzi più bassi. Ciò vuol dire maggiore liquidità per gli investimenti, benefici per il bilancio, incremento degli organici, stipendi più alti, migliore remunerazione per i risparmiatori. Insomma, soldi veri all’economia reale.

Se poi vogliamo credere alla favola che il mondo della finanza sia scollegato dalla vita di tutti i giorni, allora la prossima volta che l’Italia sarà sotto esame smettiamola di aver paura o di profetizzare sciagure: promossi o bocciati, tanto, non cambia nulla.

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