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Produrre qualche pezzo per le auto cinesi non salverà il settore

L’Italia sta correndo il rischio di accettare un abbraccio mortale con il Dragone per l’automotive e l’evoluzione tecnologica
di Bruno Villois mercoledì 16 aprile 2025

3' di lettura

Dopo le brusche frenate dei listini mondiali è riapparso il sole. In Italia, grazie essenzialmente al potenziale consolidamento in corso nel sistema bancario allargato all’assicurativo, negli States grazie a due componenti cumulate, il decisionismo di Mister President e la sua capacità di modificare ciò che ha appena deciso. Ciò detto, il vero grande obiettivo di medio-lungo tempo, resta quello di contrastare l’ulteriore accelerazione della Cina e dei suoi sempre più numerosi alleati e di evitare uno scontro bellico per affermare supremazie che siano a discapito degli Usa e dell’Occidente.

Nel breve periodo però, almeno per il biennio in corso, è indispensabile che Eurolandia, rafforzi la sua unione, assumendo posizioni da alleato degli Usa, ma in autonomia, senza evitare di finire nelle muscolose braccia di Cina, India e i loro amici Brics. L’Italia sta correndo il rischio di accettare un abbraccio mortale con la Cina per l’automotive e l’evoluzione tecnologica.

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Da mesi circolano, non solo voci, ma anche un rafforzamento di presenze di delegazioni dell’ex patria di Mao in Italia per varie ipotesi, tra le quali primeggia quella di almeno un insediamento di una maxi fabbrica “cacciavite”, ovvero di esclusivo montaggio e assemblamento di autoveicoli, primariamente per il trasporto persone. Operazione che ha trovato sostanziose aperture da parte della grande maggioranza dei produttori di componentistica, i quali sono sempre più alle strette sia per una domanda che continua ad essere latente, sia per entità dei prezzi riconosciuti, tempi di pagamento e applicazioni severissime di sanzioni in caso di ritardi di consegna, da parte dei capi filiera, essenzialmente tedeschi.

A peggiorare le cose del comparto che continua a dare occupazione complessiva, diretta e indiretta, a oltre 250 mila addetti per un giro di affari superiore ai 65 miliardi di euro, la cui quasi totalità è destinata all’export, sono i rumors che parlano della realizzazione della componentistica teutonica dell’auto da realizzarsi in maggioranza all’interno dei loro confini. Se così fosse, la Cina diventerebbe ob torto collo il primo versante a cui guardare e con cui trovare accordi, che però, se non in minima misura, possono riguardare solo la componentistica delle loro auto, la quale è per sua natura povera, corrispondendo a un massimo dell’8-10% del prezzo finale di un autoveicolo, e quello cinese è il più basso a livello internazionale. Per queste ragioni un abbraccio sulla componentistica non può che diventare da plotone di esecuzione.

Diverso sarebbe riconvertire la grande maggioranza dei produttori italiani di componentistica a realizzatori di altri apparati dell’auto che trovano nell’elettronica e nella digitalizzazione il core vincente dei cinesi. La realizzazione di almeno una giga factoring per le batterie dei motori elettrici, associato alle fabbriche del design, interno ed esterno, dei modelli cinesi, in Italia aprirebbe a ben altre strade, pur sapendo che queste inciderebbero sull’attuale numero di occupati e che, soprattutto per il capitolo batterie, imporrebbe al nostro Governo di applicare uno sconto sul costo dell’energia non inferiore al 50% di quello che paga l’industria italiana. Bene aprire a nuovi orizzonti, ma nel farlo serve una chiara identità, immani risorse per aumentare le tecnologie usate e altrettante per definire una formazione sempre più specializzata.

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