Pagati 1.200 euro per non fare nulla? Come finisce l'esperimento

Un’associazione ha dato 1200 euro al mese, per tre anni, a 122 “cavie umane”, con la possibilità di lasciare la propria occupazione. Ma solo in pochissimi hanno scelto di abbandonare l’attività
di Ignazio Stagnolunedì 14 aprile 2025
Pagati 1.200 euro per non fare nulla? Come finisce l'esperimento
3' di lettura

Per 1.200 euro al mese lascereste il vostro lavoro per dedicarvi al tanto osannato “tempo libero” e alle vostre “passioni”? Qualcuno, a quanto pare, ci sta già provando. O meglio, ha sperimentato la situazione per vedere l’effetto che fa. E i risultati non sono poi così scontati. Siamo in Germania, dove l’associazione “Mein Grundeinkommen” (che significa “Il mio reddito di base”), in collaborazione con l’università di Vienna, l’Istituto tedesco per la ricerca economica (DIW) e l’Istituto per la ricerca sul lavoro (IZA), ha reclutato 122 fortunati e ha portato a termine un vero e proprio esperimento sociologico. Per tre anni, dal 2021 al 2024, questi lavoratori hanno incassato un gruzzoletto mensile per verificare se sia possibile bypassare il lavoro per vivere. Tra queste 122 persone c’è ad esempio Sergei Justus, una “cavia” selezionata tramite una lotteria per ricevere l’agognato reddito garantito. «Ho trascorso più tempo nella natura, ho rinvigorito i miei contatti sociali, sono uscito per fare festa con gli amici o ho fatto sport con loro», ha confidato al quotidiano Hessenschau.

RISULTATI SORPRENDENTI
All’inizio del 2025 sono poi stati resi pubblici i risultati dello studio. Il dato più sorprendente è questo: nessuno ha smesso di lavorare. Infatti, ai partecipanti veniva lasciata la libera scelta di incassare mollando la propria occupazione, oppure incassare il surplus da aggiungere al reddito da lavoro. Ci si aspettava che almeno il 20 per cento avrebbe poi ridotto l’orario lavorativo o l’avrebbe azzerato del tutto, godendosi la “libertà”. In tanti hanno invece continuato a lavorare, aumentando il carico o limitandosi a rimodulare la giornata riducendo di qualche ora la routine da ufficio.

L’esperimento, secondo i sociologi che lo hanno portato avanti, sarebbe stato però falsato dal dato temporale: tutti sapevano fin dall’inizio che il progetto sarebbe durato solo tre anni.
E c’è da aspettarsi che molte scelte siano state condizionate proprio dalla temporaneità del beneficio. Ma ciò che è accaduto in Germania di fatto deve far riflettere. L’obiettivo era, sostanzialmente, quello di spalancare le porte al “fancazzismo” - ci passerete il termine, ma così ci capiamo meglio. In Italia ci abbiamo provato col controverso reddito di cittadinanza. Non confondiamo i due concetti: il reddito da laboratorio teutonico è destinato a chi ha già un’occupazione, quello grillino invece era destinato a chi era in cerca di lavoro come sostegno nel limbo della disoccupazione. Peccato che dalle nostre parti, come testimoniano le numerose truffe scovate in questi anni dalla Guardia di Finanza, il reddito di cittadinanza per tanti si era trasformato in reddito di base. Rifiuti, lamentele per la distanza dell’impiego proposto dai centri per il lavoro e voglia di stare sul divano avevano la meglio.

IL BISOGNO DI “FATICARE”
Peraltro, guarda caso, lo studio della “Mein Grudeinkommen” è stato immediatamente condiviso da Beppe Grillo sul suo blog. Un caso? I Cinque Stelle avevano già annunciato di voler lanciare da Strasburgo il “reddito di cittadinanza europeo”, c’è il rischio che vengano subito sedotti dal “reddito del fancazzismo”. Ma la lezione impartita dagli stessi partecipanti all’esperimento tedesco che non hanno mollato la propria occupazione vale più di mille discorsi che potremmo fare qui. L’essere umano, per natura, nutre il bisogno ancestrale di lavorare, far qualcosa per cui riceve un reddito in cambio. Di questi tempi ne leggiamo tante di storie (soprattutto sui social) basate sul “mollo tutto e cambio vita”. Un concetto che spesso coincide col dolce far nulla. Ma leggiamo pochissime storie di chi poi ha dovuto fare a pugni col pentimento per quella scelta, di chi ha bruciato i risparmi in voli pindarici magari dall’altra parte del mondo e la fatica poi per ritrovare il proprio posto, sì di lavoro, da qualche parte. Tutti invece custodiamo, ora con un sorriso malinconico, ora con un senso di inconscia soddisfazione, quel momento, unico e irripetibile, di quando abbiamo firmato il primo contratto d’assunzione da qualche parte, o quando abbiamo avviato la nostra prima attività. Vorrà pur dire qualcosa. Non viviamo per lavorare, e nemmeno lavoriamo per vivere. Semplicemente il lavoro è parte della vita. Che ci piaccia o no.