Il panico non affossa Wall Street: miglior risultato dal 2023

La settimana da incubo si chiude per la Borsa americana con un rialzo dell’8,2%, ma l’incertezza rimane elevata. Nel mirino degli operatori il debito Usa e il dollaro
di Michele Zaccardidomenica 13 aprile 2025
Il panico non affossa Wall Street: miglior risultato dal 2023
3' di lettura

Mentre le vendite si abbattono sul dollaro e sui titoli del Tesoro, Wall Street archivia la settimana migliore dal 2023. Grazie a un poderoso rimbalzo seguito alla decisione di Trump di congelare per tre mesi i dazi reciproci per tutti, esclusa la Cina, colpita con una maxi aliquota del 145%, l’S&P 500 è salito dell’8,27% rispetto alla chiusura di venerdì 4 aprile. Certo, lo scatto del principale indice azionario statunitense non è stato sufficiente a recuperare il terreno perso dal Liberation Day: dal 2 aprile il contatore segna ancora un rosso del 5,4%. Ma la settimana ha fatto comunque rifiatare gli investitori. Come racconta la cronaca dei cinque giorni più rocamboleschi dai tempi del Covid, sulle Borse continua a pesare l’incertezza sull’evoluzione della guerra commerciale scatenata dall’amministrazione Usa. Dall’annuncio dei dazi il 2 aprile scorso, i listini sono stati sommersi dalle vendite, fino alla parziale retromarcia di mercoledì, quando Trump ha deciso di sospendere le tariffe. La reazione di Wall Street è stata euforica: l’S&P 500 è volato a +9,5%, il rimbalzo più alto dal 2018, mentre l’indice tecnologico Nasdaq ha guadagnato addirittura il 12%. Ma l’ennesima giravolta arrivata giovedì sera (dazi al 145% sui beni cinesi) ha tagliato di nuovo le gambe ai listini.

COLPO DI SCENA Infine, il colpo di scena di venerdì. Quando la ritorsione di Pechino, che ha alzato l’asticella al 125% sulle importazioni dagli Stati Uniti, sembrava destinata ad affossare di nuovo Wall Street, la governatrice della Fed di Boston, Susan Collins, ha placato i timori degli operatori: la banca centrale, ha detto in un’intervista al Financial Times, è pronta a intervenire, nel caso ce ne fosse bisogno, per stabilizzare i mercati. Rassicurazioni che hanno fatto rimbalzare l’S&P 500, che ha chiuso la seduta in crescita dell’1,8%, permettendo all’indice di incassare la migliore performance dal 2023. Tutto risolto, dunque? «Sebbene i guadagni di questa settimana siano incoraggianti» avverte Mark Hackett della compagnia di servizi finanziari Nationwide, «non devono essere scambiati per un chiaro punto di svolta».

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Una visione condivisa tra gli addetti ai lavori. «Montagne russe non è un termine tecnico, ma è probabilmente l’aggettivo migliore per descrivere l’andamento dei prezzi sui mercati azionari di questa settimana» puntualizza Adam Turnquist, capo della strategia dell’intermediario finanziario Lpl Financial. «Sebbene ci siano stati recenti progressi» aggiunge «l’incertezza e i rischi rimangono elevati». Un altro segnale positivo per le Borse, anche perché sintomo di una maggiore apertura dell’amministrazione Usa, è arrivato ieri, con la decisione di Trump di escludere dai dazi le importazioni di smartphone e computer. Ma ad ammorbidire l’intransigenza del presidente hanno contribuito soprattutto le tensioni cui è stato sottoposto negli ultimi giorni il debito pubblico americano. L’imprevedibilità di Washington sta facendo infatti scricchiolare la fiducia verso i due simboli dell’egemonia economica statunitense: i Treasury e il dollaro. Oltre a sedare il panico sul mercato azionario, le rassicurazioni di Collins hanno alleviato anche le pressioni sui titoli di Stato. Non a caso, dopo essersi portati a ridosso del 4,6% durante le contrattazioni di venerdì, i rendimenti del decennale si sono sgonfiati al 4,49%.

TREND PREOCCUPANTE
Ma il trend continua a rimanere preoccupante. In una settimana, i tassi sui titoli di Stato Usa a dieci anni sono aumentati di 50 punti base, passando dal 4% di lunedì a quasi il 4,5%. E Trump non può permettersi un ulteriore incremento dei rendimenti, visto che già nel 2024 gli interessi sul debito hanno superato i 1.100 miliardi di dollari, sottraendo risorse preziose ad altri capitoli di spesa. Questo mentre nel 2025 il governo federale per coprire il deficit dovrà emettere titoli per 2mila miliardi di dollari e rinnovare bond in scadenza per 8mila miliardi. Non è escluso che all’inondazione di Treasury sui mercati si accompagnino tensioni sui prezzi. Anche se, va detto, che per ora l’allarmismo appare fuori luogo: le ultime due aste della scorsa settimana sui titoli a 10 e a 30 anni sono andate bene. Ma a preoccupare c’è il fatto che le vendite che hanno colpito i bond Usa si sono riflesse in un indebolimento del dollaro, indizio che a liberarsi del debito sono stati soprattutto soggetti esteri. A cominciare dalla Cina, che detiene 760 miliardi di debito Usa ed è sospettata di averne liquidata una parte per fare pressione su Washington. Da qui la svalutazione del dollaro, che da lunedì scorso ha perso il 5,5% sull’euro. Un deprezzamento che, se dovesse proseguire, dovrebbe impensierire Trump, determinato a rafforzare lo status del biglietto verde come valuta di riserva.

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