Dovevano arrivare l’apocalisse, il finimondo, la guerra termonucleare globale, le piaghe d’Egitto e l’invasione delle cavallette. Il mondo non sarà mai più come prima, ci hanno spiegato per giorni gli espertoni di trumpismo che hanno sbagliato tutte le previsioni sia sul primo che sul secondo mandato. Poi un giorno ci si sveglia e si scopre che la devastante guerra dei dazi si è trasformata in un cannone puntato sulla sola Cina (che fin dall’inizio, con buona pace degli espertoni, si era capito fosse il vero obiettivo). Per tutti gli altri, compresa la Ue, che ha già congelato le sue moderate contromisure, tre mesi di tregua per il negoziato. Siamo già morti? Siamo stati catapultati nel purgatorio dei dazi?
Nient’affatto: ci ha salvato Wall Street. Avete presente gli speculatori, i lupi, Gordon Gekko, gli affaristi spietati che fanno denaro col denaro a spese della povera gente? Roba vecchia. I trumpisti più raffinati ci spiegano che loro adesso sono i nuovi eroi, i paladini del mondo libero e della democrazia, le truppe del bene che hanno sconfitto il lato oscuro, distrutto la morte nera e messo il tycoon all’angolo, costringendolo alla resa. Uno scenario che gli espertoni avevano ampiamente previsto, ma che non ci hanno svelato prima per lasciarci fino all’ultimo nel panico, in attesa del colpo di scena e del lieto fine.
L’aspetto divertente del disorientamento provocato dall’ossessione antitrumpiana è che nelle ultime settimane il mondo progressista è stato costretto a tifare per l’ultraconservatore Ronald Reagan e per gli sciacalli dell’alta finanza. Quello più preoccupante è il progressivo scollamento dalla realtà di gran parte dell’informazione, che non riesce più a togliersi dal naso le lenti deformanti del furore ideologico contro il presidente Usa. Basterebbe vedere quello che è successo ieri sera per smentire le tesi spacciate un tanto al chilo sui principali quotidiani. Dopo l’euforia di mercoledì, il Nasdaq è arrivato a perdere oltre il 7%, lo S&P 500 il 6% e il Dow Jones più del 5,5%. Ma come? I mercati hanno sconfitto Trump e continuano a bruciare trilioni? Come vittoria suona un po’ strana. Così come suona strana la “resa” del tycoon, che ieri ha, senza battere ciglio, spiegato che la tregua è finalizzata non a far ripartire le Borse, ma a raggiungere accordi sui dazi, in mancanza dei quali si «tornerà alla situazione di prima».
La realtà è che, piaccia o no la sua sinfonia, è Trump a dirigere l’orchestra. E lui a pigiare i tasti che fanno muovere i mercati, a dettare la direzione di marcia. Non il contrario. La dimostrazione di chi sia a dirigere il gioco si è avuta, paradossalmente, con una clamorosa fake news. È il 7 aprile. Ad una domanda sull’ipotesi che Trump avrebbe preso in considerazione una sospensione di 90 giorni, il direttore del Consiglio economico nazionale Kevin Hassett dice: «Penso che il presidente deciderà quello che vuole decidere». Dichiarazione neutra che però ha immediatamente alimentato le voci su una possibile tregua. Qualche ora dopo la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt smentisce la notizia basata sulle dichiarazioni di Hassett, dicendo alla CNBC che si tratta di “fake news”. Infine, arriva anche il presidente. Alla domanda, alla Casa Bianca, se sia «disposto a una sospensione dei dazi per consentire una negoziazione», Trump risponde: «Beh, non stiamo considerando questa ipotesi, ci sono moltissimi paesi che stanno venendo a negoziare accordi». Ecco, ora andatevi a guardare il grafico di Wall Street del 7 aprile.
L’andamento disegna le classiche montagne russe. I listini partono in flessione, la finta notizia della tregua li riporta verso l’alto e la smentita li ritrascina di nuovo verso il basso. Nessuno sostiene che questo quadro sia rassicurante, positivo o apprezzabile. Ma una cosa appare abbastanza evidente. Sono le parole di Trump, persino quelle false, a orientare le scelte degli investitori, non gli investitori a dettare la linea al presidente. Il tycoon ieri lo ha ribadito con chiarezza: «La transizione avrà un costo e porrà dei problemi, ma alla fine sarà una cosa buona». E tra le cose buone Trump annovera anche la separazione tra il mondo dell’economia reale e quello della finanza. I trumpisti se ne facciano una ragione.