Rating, schiaffo ai gufi di sinistra: i numeri che contano

Mentre l'opposizione tifa per le sciagure, Fitch conferma le valutazioni sull'Italia: il funerale è rimandato
di Pietro Senaldidomenica 6 aprile 2025
Rating, schiaffo ai gufi di sinistra: i numeri che contano
3' di lettura

Niente panico, possiamo farcela, trattiamo con Donald Trump. Giorgia Meloni sta cercando da giorni di rassicurare l’Italia. Di contro, l’opposizione accusa il governo di essere impreparato e intona un requiem, che anziché grave diventa gaudioso nei toni degli esponenti della sinistra, le cui parole vengono rilanciate dai trombettieri progressisti, lieti di annunciare tragedie. Erano tutti pronti per prorogare ad libitum il coro funebre quand’ecco che nella notte di venerdì è arrivato il giudizio positivo dell’agenzia internazionale di valutazione del credito che ha confermato la tripla B del rating dell’Italia.

Ancora più del giudizio, pesa la motivazione: il nostro debito è sostenuto «da un’economia ampia, diversificata e ad alto valore aggiunto, dall’appartenenza all’eurozona e dalla solidità delle istituzioni». Certo, i dazi si faranno sentire, visto che quello verso gli Stati Uniti corrisponde al 9-10% del nostro export totale, tuttavia la struttura delle nostre esportazioni «induce a ritenere che l’Italia potrebbe essere più resistente di altri Stati della Ue, in quanto ha ampie quote di prodotti con consegna a lungo termine e con bassa elasticità dei prezzi». Valutazioni che sembrano scritte apposta per smorzare il coro di critici e preoccupati. Le agenzie di rating infatti, orientano il risparmio e i flussi di denaro internazionali e il loro suggerimento, in questa fase di tormenta, è investire sull’Italia, malgrado il previsto, ingente, aumento delle spese in armi e difesa, che però «non è previsto tale da aumentare il debito nazionale».

I CARDINI DEL BUON GIUDIZIO
Era già tutto scritto, in fondo, nei recenti libri del professor Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison, “The Italian Economic Resurgence” (La rinascita dell’economia italiana) e “L’Italia merita un rating migliore”, a volerli leggere e sforzarsi di capirli. Sono cinque i cardini su cui si fonda il buon giudizio sul nostro Paese. Il primo è che negli ultimi cinque anni abbiamo avuto una crescita del prodotto interno lordo superiore a quella dell’eurozona (+5,9% contro +4,9%), con la Germania ferma allo 0,2%, il Giappone al 3,8% e la Francia al 4%. Il secondo è che, grazie all’aumento del contributo fiscale, siamo la sola nazione del G7 in avanzo primario unico (differenza positiva tra spesa pubblica ed entrate al netto degli interessi sul debito).

La terza è che, allenati dall’enormità del nostro debito, abbiamo imparato a tenerlo sotto controllo: il dato sul deficit è andato meglio del previsto, chiudendo al 3,3% contro un’ipotesi iniziale del governo al 3,8, ma Fitch prevede addirittura che esso si riduca ulteriormente nei prossimi due anni, fino al 2,7%. Siamo uno dei pochi Paesi scesi a livelli di debito inferiori al Covid, e questo è avvenuto malgrado l’oneroso smaltimento dei costi del superbonus, quello per cui il governo Conte 2 ha indebitato lo Stato per finanziare con i soldi dei poveri le ristrutturazioni delle case dei ricchi; il che significa che il debito è destinato a scendere ancora.

LA SOLIDITÀ POLITICA
C’è poi il grande cuscinetto del risparmio alle famiglie: 400 miliardi privati investiti in buoni del Tesoro, che significa che l’Italia si autofinanzia gran parte del debito e quindi è più impermeabile ad attacchi esterni. Infine, la solidità bancaria e della politica, baluardi che si devono specificatamente al nostro governo, mentre l’opposizione esercita pressione per indebolire il sistema e renderlo ancor più vulnerabile nei confronti di Stati stranieri.

Dal punto di vista politico, il giudizio di Fitch è fondamentale nel sostenere l’azione portata avanti dal governo nella prima metà di legislatura: una gestione accorta della cassa, per consolidare l’immagine del Paese nei consessi internazionali, malgrado gli scossoni della guerra in Ucraina, che ci hanno costretto a rivedere il piano energetico e, ora, dei dazi Usa.