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Pensioni, un colpo di scena che ammazza i gufi: chi avrà l'assegno più gonfio

martedì 18 marzo 2025
Pensioni, un colpo di scena che ammazza i gufi: chi avrà l'assegno più gonfio

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Chi si ritira dal lavoro quest’anno vedrà il proprio montante contributivo – ovvero l’insieme dei contributi accumulati durante la carriera, base per il calcolo della pensione – aumentato del 3,66%. Per fare un esempio: un montante di 250 mila euro di contributi versati si trasforma in 259.156 euro, e l’assegno pensionistico, per chi esce a 67 anni, passa da 14.307 a 14.831 euro all’anno. Lo ha comunicato l’Inps con il messaggio n. 914/2025.

Fate attenzione: questa novità, infatti, riguarda il sistema di calcolo della pensione secondo il metodo contributivo, che determina l’importo come una quota della somma totale dei contributi versati nel corso della vita lavorativa (di solito il 33% dei redditi percepiti, come stipendio o compensi). Tale somma forma il cosiddetto montante contributivo; la percentuale che, applicata a questo valore, definisce la pensione annuale è stabilita per legge in base all’età di ritiro, compresa tra 57 e 71 anni.

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Il montante contributivo, come riporta Italia Oggi, viene aggiornato annualmente per preservare, almeno in parte, il suo valore reale (i contributi, al momento del pensionamento, possono infatti risalire a 30-40 anni prima). L’Istat definisce ogni anno il tasso di rivalutazione, calcolato sulla base della variazione del Pil nei cinque anni precedenti. Essendo legato al Pil e non all’inflazione, questo tasso può aumentare o diminuire in proporzione all’andamento dell’economia nazionale, senza sempre riuscire a compensare pienamente la perdita di potere d’acquisto. Il tasso annunciato dall’Inps per il 2024, applicato al montante al 31 dicembre 2023 per chi si pensiona quest’anno, è 1,036622, pari a un incremento del 3,6622% (rispetto al 2,3082% dell’anno scorso, con un tasso di 1,023082).

Infine, come sottolinea Italia Oggi, è utile ricordare che in passato il tasso è stato negativo due volte: nel 2014 e nel 2021. Nel 2014 (—0,001927, che avrebbe ridotto 250 mila euro a 249.518 euro), l’Inps intervenne amministrativamente per evitare una “decurtazione”, sostenendo che la legge n. 335/1995 (la riforma Dini delle pensioni) non consente di applicare tassi negativi. Questa interpretazione è stata poi formalizzata nel dl n. 65/2015, che ha modificato la legge 335/1995 aggiungendo: «in ogni caso il coefficiente di rivalutazione (…) non può essere inferiore a 1, salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive". Nel 2021 si è verificata una situazione simile: un tasso di —0,000215, non applicato grazie alla norma del dl n. 65/2015. A differenza del 2014, però, il valore negativo è stato recuperato nel 2022: invece del tasso pieno (1,009973), è stato usato un tasso ridotto (1,009758), che ha compensato lo 0,000215 negativo dell’anno precedente.

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Fonte: Agenzia Vista / Alexander Jakhnagiev

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