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Le banche si sposano e tagliano i costi, le aziende invece no

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Bruno Villois
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Le ipotetiche fusioni per consolidare il sistema bancario italiano hanno come obiettivo il creare valore. Ma nell’era Trump dove conta e conterà soprattutto la forza e quindi le dimensioni, sarebbe opportuno che stessa volontà di consolidamento si aprissero nel sistema imprenditoriale di ogni genere ma soprattuto del manifatturiero. Per quanto riguarda il credito, almeno per quanto riguarda le prime due, Intesa e Unicredit e una possibile terza, costiuita con al centro Banco Bpm,sono gia oggi nelle posizioni apicali a livello europeo, semmai difetta una internazionalizzazione che è più ragguardevole nelle spagnole, francesi e per almeno la Tedesca Deutsche, oltre all’olandese, Ing. Vicerversa, se si esclude l’agro alimentare con le prime quattro a capitale italiano, Ferrero, Barilla,Lavazza e Campari sono ai vertici globali dello specifico settore, ormai defunta l’era Fiat.

Per il resto le maggiori industry italiane sono nei propri settori in posizioni arretrate, anche nel fashion, farmaceutico e meccanica. Il nostro sistema economico nella sua interezza, a differenza del francese e tedesco, ha più che mai bisogno di consolidarsi in termini di dimensioni sia finanziarie che produttive. A beneficiare è sarebbe in prima istanza il tessuto economico produttivo, che è costituito in massima misura da piccole e micro imprese, le quali rappresentano oltre il 95% del totale, sono inferiori alle 15 mila quelle che superano i 50 milioni di fatturato. Grandi imprese a capitale italiano ai vertici delle nostre nostre filiere e banche sempre più solide in grado di occupare posizioni internazionali per accompagnare in maniera più attiva ed efficace export e operazioni interne aumenterebbero il potenziale Paese rendendolo in grado di competere meglio in ogni dove e avere più capacità di trattativa e ascolto sia in Europa che nei confronti dei due grandi della terra USA e Cina e un giorno, ormai prossime, India.

 

Alle piccole e imprese è necessario che le banche offrano linee di credito che siano compatibili con il loro modus operandi e di riflesso consentano alle stesse banche di ottenere benefici sui propri coefficienti patrimoniali grazie a meriti creditizi a ridotto rischio, banche il cui core sia fondamentalmente legato all’Italia, pur potendo, come sta facendo ad esempio Banco Bpm da diversi anni a questa parte, disporre di tutte le condizioni per operare anche sulle imprese di maggior rilevanza, grazie a tempistiche erogative sovente più accelerate e caratteristiche concessive meno onerose, condizioni che fortificano l’idea di realizzare un terzo polo. Va anche detto che seppur necessarie le fusioni, così è stato nei precedenti casi di fusioni, sono scattati esuberi occupazionali che hanno abbondantemente superato il 15% della forza lavoro, cosi come nel credito si è ridotta percentualmente l’erogazione a causa dell’eccessiva concentrazione.

Stessa sorte c’è stata anche per le delocalizzazioni, ma a farlo sono sempre state imprese estere che ne hanno acquisito le italiane.
Anche le ipotetiche fusioni tra banche in corso difficilmente si scosteranno da quelle percentuali, o meglio è possibile che possano ulteriormente peggiorare in ragione dell’ingresso del AI. Nonostante questi rischi è sostanziale che i processi di concentrazione, non solo tra banche ma soprattutto tra imprese di ogni settore, procedano speditamente.

 

 

 

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