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In Europa scoppia la guerra dell'oliva: un caso clamoroso travolge l'Italia

Attilio Barbieri
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 Attorno all’Oliva ascolana del Piceno Dop è scoppiata una vera guerra. Tutto è cominciato con l’appello lanciato dal presidente del Consorzio di tutela Primo Valenti - e raccolto da Libero il 16 febbraio- che denunciava numerosi casi di evocazione possibili grazie alla linea permissiva sposata nel 2007 dall’Ispettorato centrale antifrodi. Mercoledì scorso alla Camera sul tema c’è stata l’interrogazione di Mirko Carloni, presidente della Commissione agricoltura, alla quale il governo ha risposto annunciando di avere già avviato «un approfondimento». Il sottosegretario D’Eramo ha convenuto con Carloni sull’orientamento che emerge dalla giurisprudenza della Cassazione e della Corte di giustizia dell’Unione europea.

Si tratta di sentenze che hanno fatto scuola, secondo le quali l’evocazione si configura anche qualora l’imitazione della denominazione protetta sia parziale. Come nel caso del Cambozola, formaggio dal nome evocativo del Gorgonzola Dop: con una sentenza del 1999 la Corte del Lussemburgo stabilì che «la nozione di evocazione ricomprende l’ipotesi in cui il termine utilizzato per designare un prodotto contenga una parte di una denominazione protetta... E a causa di tale somiglianza la reazione del consumatore al nome del prodotto si focalizzi sull’immagine di riferimento relativa alla merce che fruisce della denominazione protetta».

E trovo incredibili le argomentazioni espresse nella replica del presidente di Confindustria Ascoli Piceno, Simone Ferraioli che ha sferrato un attacco frontale al Consorzio di tutela dell’Oliva ascolana del Piceno. «La Dop protegge solo il prodotto, non la tradizionale ricetta marchigiana, che resta patrimonio di tutti», afferma in una nota rimbalzata sui media locali. «Il Consorzio, invece, tenta di monopolizzare la ricetta, violando la normativa Ue» accusa Ferraioli secondo il quale «lo sviluppo della coltura dell’oliva ascolana è stato penalizzato dalla scelta della Dop, che ha limitato la diffusione della varietà». Argomentazioni grottesche, che si commentano da sole. La «ricetta marchigiana» di cui Ferraioli cerca di accreditare la genericità, è invece parte integrante del disciplinare di produzione ed è inevitabile che preesistesse alla Dop, perché in questo caso come in tutti quelli in cui venga accordata una indicazione geografica, la ricetta testimonia la storicità grazie alla quale la Ue riconosce unicità e inimitabilità di una Dop.

La ricetta per confezionare il Cotechino di Modena Igp, ad esempio, è sicuramente preesistente alla concessione della Indicazione geografica protetta e per la precisione risale al XVIII secolo. Questo non autorizza nessuno, però a imitarla, mettendo in commercio ad esempio un “cotechino modenese”. Il diritto di tarocco invocato dal numero uno degli industriali ascolani semplicemente non c’è. È una sua invenzione.

Semmai, se proprio il problema fosse davvero la ricetta e non le imitazioni della denominazione- le più diffuse sono “olive ascolane” e “olive all’ascolana” - l’industria locale potrebbe continuare a produrre utilizzando però una denominazione come “olive ripiene” che non evochi la Dop. Salvando così «la produzione con olive diverse dalla Dop», sono parole di Ferraioli, che «crea un fatturato di circa 50 milioni di euro e garantisce occupazione a 400 persone».

Sul tema sono intervenute ieri Coldiretti Ascoli Fermo e Aprol Marche. «Ben vengano i controlli sulla filiera dell’Oliva ascolana del Piceno e il rispetto del disciplinare della Dop», si legge in una nota congiunta delle due organizzazioni, «da anni stiamo chiedendo sostegni importanti agli investimenti per consentire agli olivicoltori di aumentare la produzione e il nuovo Csr con il contribuito al 65% per gli impianti Dop, deve essere considerato un primo importante passo in questa direzione».

Si tratta di capire, ora, se l’Ispettorato centrale antifrodi del Ministero dell’Agricoltura e in definitiva lo stesso dicastero, intenda procedere con i controlli e le sanzioni a tutela di una indicazione geografica certificata dalla Ue. Diversamente dimostrerebbe di aver sposato un principio di matrice orwelliana, secondo il quale le Denominazioni protette sono tutte uguali. Alcune però sono più uguali delle altre e meritano una tutela più attenta e puntuale.

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