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L'Italia ora tifa per la locomotiva tedesca: destini incrociati dopo il voto

Sandro Iacometti
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Per carità, all’inizio non è stato facile disperarsi per la crisi dell’economia tedesca. Preoccuparsi per i maestrini di Berlino, che dopo anni di lezioncine su come si manda avanti un Paese si sono ritrovati fanalino di coda del Vecchio Continente. Diciamocelo, la frenata della locomotiva d’Europa qualche sorrisetto di soddisfazione ce l’ha strappato. Adesso, però, l’andamento della Germania è diventato un po’ meno divertente. Il cancelliere Olaf Scholz, che aveva promesso un nuovo boom economico, ha visto crescere il Pil nel 2022 dell’1,4%. Poi il buio. Le politiche green (sostenute a gran voce proprio da Berlino) e la chiusura dei rubinetti russi dopo la guerra in Ucraina hanno regalato al Paese una doppia recessione: -0,3% nel 2023 e -0,2% nel 2024. E le prime previsioni stimano il segno meno anche per l’anno in corso. In forte crisi risultano il settore manifatturiero, pilastro dell’economia nazionale, ma soprattutto l’industria automobilistica, con il colosso Volkswagen che, dopo aver diminuito la produzione interna, ha annunciato il taglio di 35.000 posti di lavoro entro il 2030. Fatti loro? Non proprio. La retromarcia tedesca ha impattato sulla crescita di tutto il continente.

E in particolare sulla nostra, che con la Germania è legata a doppio filo. Il Paese, piaccia o no, rimane il nostro principale partner economico, sia in termini di export (74,6 miliardi) sia di import (89,7 miliardi), con uno scambio commerciale complessivo che nel 2023 ha raggiunto il valore di 164,3 miliardi. Malgrado una flessione del 2,5% rispetto al 2022, il distacco della Germania rispetto al nostro secondo partner commerciale, la Francia, resta netto, con ben 54 miliardi di differenza. A livello settoriale, troviamo al primo posto il chimico farmaceutico, con 25,8 miliardi, seguito dall’automotive con 25,76; al terzo posto i macchinari con 22,33 miliardi, mentre la siderurgia ne vale 21,27. Numeri che non rappresentano una buona notizia per l’Italia e che hanno molto a che fare con quei 23 mesi consecutivi di produzione industriale in calo. «Le vendite all’estero», ha spiegato recentemente il governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, «stanno risentendo della debolezza dell’economia europea, in particolare di quella tedesca, che assorbe il 12% delle nostre esportazioni. Quasi la metà delle aziende manifatturiere che vendono in Germania ha visto ridursi le proprie esportazioni in quel mercato, con ripercussioni negative sulla produzione, già in calo dal 2022». Di fatto, ha sintetizzato Panetta, «attraverso il commercio internazionale le difficoltà dell’economia tedesca si stanno trasmettendo a quella italiana».

 

 

Un esito che non sorprende. Nel 2020, spiega l’Istat, «la dipendenza dell’Italia dalla Germania è 2,5 volte più elevata della rilevanza dell’Italia per la Germania». Insomma, se loro vanno male, noi molto di più. La performance negativa dell’economia tedesca, ha spiegato numeri alla mano l’istituto di statistica, ha costituito nel 2023 un freno per la crescita italiana stimata in un 1% di export e uno 0,2% di pil: un impatto «significativo», perché rappresenta un quarto dell’effetto negativo sul pil italiano complessivamente attribuibile al rallentamento del ciclo internazionale (-0,8%). Lasciando da parte i giudizi sui governicchi di coalizione o sull’ennesimo tradimento degli elettori, che hanno votato in massa a destra e finiranno col trovarsi i socialisti al governo, ci tocca tifare per la crescita. E sperare che il nuovoesecutivo riesca a portare il Paese fuori dalle secche.

Qualunque sia l’alchimia politica, l’imperativo è cambiare rotta. «La Germania è da anni in recessione e l’Italia ha da tempo una produzione industriale in calo in settori strategici. Questa emergenza se ne porta dietro altre: occupazionale, sociale, demografica. Il Bundestag uscito dalle urne avrà soprattutto il compito di rilanciare l’economia e la competitività, con strategie a lungo termine e quanto più possibile coordinate con quella italiana, perché in diversi settori le nostre catene del valore sono fortemente integrate», è l’appello e l’auspicio di Monica Poggio, presidente di Ahk Italien, la Camera di commercio italo-germanica. Ora tocca a loro fare i compiti a casa. Secondo Scope Rating per rilanciare la crescita il nuovo governo avrà bisogno di una chiara strategia industriale, di modernizzare le infrastrutture energetiche e di attuare le riforme da tempo attese in materia di tassazione, sistema pensionistico e mercato del lavoro. In fondo, non siamo così diversi.

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