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Trump ha ragione: basta centesimi di euro

Giovanni Longoni
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Che direbbe Zio Paperone di un miliardario come Donald Trump che non sa che farsene delle monete da un centesimo? Lo guarderebbe con disprezzo da sopra il pince-nez, verrebbe da dire. Invece no: il papero più ricco e avaro del mondo, morbosamente attaccato al Numero Uno, il primo centesimo guadagnato in vita sua, non avrebbe proprio nulla da ridire sulla decisione presa ieri dal presidente degli Stati Uniti. Il tycoon newyorkese ha dato ordine alla Zecca degli Stati Uniti di non coniare più le monetine dal valore più basso nel sistema del dollaro. Il cent, detto anche penny.

Le ragioni per cui nemmeno Paperon de’ Paperoni si opporrebbe sono presto dette: in realtà il leggendario Numero Uno non è un cent, come viene chiamato nei fumetti italiani sui pennuti personaggi Disney, bensì una moneta da dieci centesimi, o “dime”. Number One Dime è infatti il nome in inglese della venerata monetina. E sulla sopravvivenza del dime, Trump non ha nulla in contrario. Perché, secondo motivo, alla base di tutta l’operazione c’è una questione di risparmio, in puro stile ziopaperonesco.

Trump ha scritto in un post domenica sera sul suo sito Truth Social: «Per troppo tempo gli Stati Uniti hanno coniato penny che letteralmente ci sono costati più di 2 centesimi. Questo è uno spreco!» Per aggiungere: «Ho ordinato al mio Segretario del Tesoro di interrompere la produzione di nuovi penny».

Donald non aveva mai parlato di eliminare il penny durante la sua campagna elettorale. Forse non sapeva nemmeno cosa fossero. È stato il Dipartimento per l'efficienza governativa di Elon Musk a sollevare la questione con un post su X il mese scorso evidenziando il costo spropositato del penny.

Il New York Times, che certo non ama il presidente repubblicano, in un pezzo sulla vicenda ha messo sì in questione l’autorità del capo dello Stato di poter interrompere per decreto o per ordine diretto il conio di monete, ma ha comunque ammesso che i motivi addotti dalla Casa Bianca sono veri e sensati. L'anno scorso, questo è il problema, la Zecca ha emesso oltre tre miliardi di penny, secondo il suo rapporto annuale, con una perdita di circa 85,3 milioni di dollari. I penny, che spesso vengono dati come resto ma raramente spesi, hanno rappresentato più della metà di tutte le monete prodotte dalla Zecca. Negli Stati Uniti, l'anno scorso, ce n’erano circa 250 miliardi in circolazione, ovvero circa 700 a persona. E la zecca perde anche quattrini sul “nickel”, il “nichelino” di Paperone, cioè le monete da 0,05 dollari, che costano allo Stato americano quasi 0,14 dollari. Diversi Paesi hanno già eliminato le loro monete da un centesimo. Il Canada, ad esempio, ha smesso di coniare il suo penny nel 2012. E non sarebbe neppure la prima volta che gli Stati Uniti eliminano la loro moneta meno preziosa: era già stata bloccata dal Congresso nel 1857. Anche in Europa coniamo centesimi in perdita: il costo di produzione di una moneta da un centesimo di euro varia in genere tra 1,5 e 2,5 centesimi, a seconda dei prezzi specifici dei metalli (il penny è in zinco rivestito in rame, l’eurocent invece acciaio rivestito in rame) e delle condizioni di produzione nei diversi Paesi europei.

La ragione principale di questo costo di produzione elevato sono i materiali utilizzati nella moneta. I centesimi di euro sono in genere realizzati in acciaio ramato e il costo delle materie prime, insieme al processo di produzione, supera il valore nominale della moneta. Questa situazione ha portato a dibattiti in alcuni Stati europei sulla sensatezza o meno dal punto di vista economico di continuare a produrre monete di così basso valore.

In Europa se ne parla, Trump lo ha già deciso. Come il ritorno alle cannucce di plastica. E i tappi delle bottigliette che non si staccano più, dove li mettiamo? Non c’è bisogno di abolirli in America perché a livello federale non c’è alcun ukaze in stile Bruxelles (gli Stati di sinistra e di buona famiglia ce l’hanno, gli altri no).

Il risparmio spiega anche perché il dime americano si è salvato: il valore nominale di 10 cent, infatti, è sempre stato superiore ai costi di produzione. Zio Trumpone sui danè non sbaglia mai.

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