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Generali, il no ai manager italiani li mette nei guai

Sandro Iacometti
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Philippe Donnet ha passato buona parte della sua conferenza stampa per la presentazione del piano a spiegare che l’alleanza con Natixis, a cui le Generali conferiranno circa 630 miliardi di risparmi degli italiani, non deve destare alcuna preoccupazione, perché un conto è la gestione degli asset, un altro è la proprietà. E il Leone, ha spiegato l’ad, «non rinuncia ad alcun controllo sulla gestione degli investimenti». Insomma, i soldi degli italiani non finiranno in mano ai francesi, ma resteranno al sicuro a Trieste.

Problema risolto? Non proprio. Si tratta, infatti, di capire chi comanderà a Trieste. E le notizie uscite negli ultimi giorni non sono molto rassicuranti. In vista del rinnovo degli organi sociali della prossima primavera, il cda ha espresso il suo “Parere di orientamento agli azionisti sulla composizione quantitativa e qualitativa del cda”. Pratica assai delicata perché quest’anno il consiglio non presenterà una sua lista, come avvenuto nel 2021 quando i manager si sono di fatto autocandidati alla riconferma, ma lascerà che siano i soci a farlo. Non senza, però, fornire loro una serie di indicazioni sulla lista da preferire.

 

 

 

La prima è autopromozionale, considerato che i vertici hanno già detto di voler restare al loro posto. L’auspicio del consiglio è di mantenere «un appropriato equilibrio fra ampia continuità e rinnovamento sia nella composizione dell'organo da eleggere sia nella gestione aziendale, alla luce dei rilevanti risultati conseguiti e degli importanti obiettivi di sviluppo». Un modo, si legge nel documento, «per garantire coerenza» nell’attuazione del piano industriale.

Dopo aver invitato i soci a votare per loro, i capi del Leone spiegano anche quali dovrebbero essere i criteri per scegliere il resto della squadra. Competenza, professionalità, esperienza? No, il requisito fondamentale per poter sedere nel consiglio del colosso assicurativo è, udite udite, quello di non essere italiani. Difficile da credere, ma è scritto nero su bianco. Nel parere si ammette che «l'attuale composizione del consiglio denota già oggi un importante profilo internazionale indipendentemente dalla nazionalità». Però «si suggerisce di incrementare il numero di componenti del consiglio di nazionalità diversa da quella italiana, in particolare con esperienze e competenze riguardanti i paesi dove il gruppo è maggiormente attivo, coerentemente con quanto riscontrabile in gruppi assicurativi internazionali simili a Generali».

Ricapitoliamo: l’amministratore delegato francese del Leone prima rassicura tutti (l’alleanza con Natixis ha sollevato un vespaio politico bipartisan) sul fatto che l’accordo con la società d’Oltralpe non metterà a rischio i risparmi degli italiani, perché tutto si decide nell’italianissima Trieste. Poi mette a punto un parere in cui consiglia i soci di votare una lista dove ci siano meno italiani possibile. «È lunare che il cda di Generali chieda esplicitamente che la maggioranza dei consiglieri siano stranieri. Lo standing internazionale di chi gestisce e amministra una grande società come questa è necessario, ma risulta inquietante pensare di escludere a priori dalla gestione di migliaia di miliardi di risparmio degli italiani, manager italiani che hanno in più cittadinanza, vita e grande attenzione verso la nostra Nazione», ha detto il senatore di Fratelli d'Italia, Fausto Orsomarso.

Ma a quanto pare è solo l’inizio. Nella battaglia per le Generali, infatti, ieri è spuntato a sorpresa il terzo incomodo. Secondo quanto riporta il Sole 24 Ore, Unicredit sarebbe «in manovra» per il 4-5% del Leone. Un’incursione che potrebbe complicare ulteriormente la partita. Secondo indiscrezioni la mossa «risponderebbe anzitutto a una logica opportunistica» dato l'appeal speculativo di Generali. Ma è difficile non pensare che Andrea Orcel, già impegnato in un’Opa su Bpm che si intreccia a quella di Mps su Mediobanca, possa usare queste quote come pedine da muovere sullo scacchiere.

 

 

 

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