Carlos Tavares si deve "accontentare": la buonuscita? "Solo" 36,5 milioni
Il premio per il fallimento sarà ridimensionato. La cifra dovrebbe essere inferiore al pacchetto complessivo di compensi da 36,5 milioni che Carlos Tavares si è messo in tasca nel 2023. Non si tratta comunque di bruscolini, intendiamoci. Ma la spaventosa buonuscita di 100 milioni, somma tra le più alte mai concesse ad un capo azienda, di cui si era parlato in questi giorni, scatenando ondate di indignazione, sembra non sia più sul tavolo. I calcoli precisi non sono ancora stati fatti. Però secondo indiscrezioni raccolte dal Financial Times, nel corso di un confronto avvenuto lo scorso fine settimana l’azienda avrebbe raggiunto un accordo col manager facendo pesare «le scarse prestazioni della società, quest’anno», a cui è legato il 90% dello stipendio del manager, che saranno però contabilizzate con esattezza solo al termine dell’esercizio.
Molti resteranno dell’idea che invece di uscire con le saccocce piene di quattrini il portoghese avrebbe dovuto essere messo alla porta con un bel calcio nel sedere, ma in uno stato di diritto i contratti vanno rispettati, anche quando sembra scandaloso farlo. E tutto sommato si può anche pensare che ridimensionando il faraonico compenso del manager il gruppo voglia dare, a suo modo, il segnale di una discontinuità rispetto al passato. Un po’ poco come sforzo, certo. Così come può sembrare vano il tentativo di John Elkann di rifarsi un’immagine e di recuperare credibilità attraverso il tour mondiale che ha intrapreso per visitare di persona tutti i principali stabilimenti del gruppo sparsi per il globo. «Cercherò di raggiungere il maggior numero di sedi e di incontrare di persona il maggior numero di voi», aveva detto il rampollo degli Agnelli nel messaggio ai dipendenti di lunedì scorso. E così, dopo il pellegrinaggio nel quartier generale di Auburn Hills negli Usa, dove Tavares è riuscito a far infuriare tutti, dai sindacati ai fornitori, fino ai concessionari, è arrivato il turno dell’Italia.
Un viaggio che ha avuto come prima tappa ieri l’impianto di Modena che produce la Maserati. Perché va bene essere più vicino ai “sottoposti”, come il megadirettore galattico di Fantozzi appellava gli impiegati, ma iniziare da Mirafiori, dove la produzione è crollata del 70%, è sembrato troppo anche per il nuovo Jaki dal volto umano. Senza contare che a Torino ormai non c’è quasi più nessuno in fabbrica, sono tutti in cassa integrazione.
E allora meglio partire con il polo del lusso, che non è andato molto meglio sotto il profilo delle vetture sfornate e degli operai messi in naftalina, ma almeno non ha visto i suoi modelli finire in Africa o nell’Europa dell’Est. Tutte le vetture del Tridente sono infatti disegnate, sviluppate e prodotte in Italia. «La nostra industria sta attraversando momenti duri», ha ammesso Elkann, «credo fermamente che in questi frangenti sia necessario rimanere uniti e, per questo motivo, ho deciso di essere accanto alle nostre persone e di recarmi presso la storica sede di Maserati a Modena. Desidero ringraziare personalmente tutte le colleghe e i colleghi che con il loro lavoro, la loro passione e la loro energia continueranno a raggiungere importanti risultati per Maserati».
Difficile dire se la scampagnata di Elkann sia l’inizio di una nuova era o solo il disperato tentativo di mettere una pezza ai disastri, anche sul piano della comunicazione, fatti da Tavares. Però qualche segnale positivo trapela. La prossima settimana, il 12 dicembre, il responsabile Europa di Stellantis, Jean-Philippe Imparato, incontrerà a Torino le sigle dei metalmeccanici. E il 17 sarà sempre lui a sedersi al tavolo convocato dal governo. Tavolo da cui Adolfo Urso si aspetta risultati importanti.
«Le dimissioni di Tavares aprono una nuova fase nel dialogo con l'azienda. Al prossimo tavolo attendiamo novità concrete che riaffermino la centralità del nostro Paese nel piano industriale nel gruppo, come anticipato con il recente colloquio che ho avuto con il presidente del gruppo John Elkann», ha detto il ministro delle Imprese, che ha anche annunciato un intervento del governo per superare la crisi.
L’esecutivo, ha spiegato Urso, sta lavorando per incrementare il fondo automotive e raggiungere una cifra che sia «almeno equivalente o anche superiore» alle risorse del vecchio fondo, ovvero 750 milioni di euro. Sono risorse che non serviranno per gli incentivi, ma andranno alle imprese a sostegno dei loro investimenti produttivi. Chi non cambia è invece Maurizio Landini. Dimenticandosi i suoi apprezzamenti all’epoca della nascita di Stellantis e il suo sostanziale silenzio negli ultimi anni (andatevi a rileggere le decine di interviste a Stampa e Repubblica), il leader della Cgil rivendica di essere stato il primo a denunciare il disastro: «Oggi vedo che a differenza di dieci o quattro anni fa tutti stanno dicendo che le cose non vanno. Mi fa piacere che anche altri siano arrivati a cogliere quello che da tempo stavamo sostenendo».