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Stellantis, occupazione e stabilimenti: tutte le promesse mancate all'Italia

Michele Zaccardi
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Per ora John Elkann non andrà a riferire in Parlamento. Se ne riparlerà, semmai, dopo il tavolo sull’automotive convocato al Ministero delle Imprese per il 17 dicembre, a cui parteciperà Jean-Philippe Imparato, il capo della regione Europa dell’ex Fca. Elkann, che dopo le dimissioni dell’ad Carlos Tavares è diventato il presidente del comitato esecutivo ad intermim, ha infatti declinato l’invito che gli ha rivolto il presidente della Commissione attività produttive della Camera, il leghista Alberto Gusmeroli. E dunque per un po’ non si saprà quali sono le intenzioni di Stellantis sui siti italiani. Quanto alla maxi buonuscita da 100 milioni di euro per l’ex numero uno, ieri l’azienda ha bollato le cifre circolate come «imprecise e lontanissime dalla realtà».

Di certo c’è che le roboanti previsioni di Tavares su produzione e investimenti sono state tutte smentite. Più che un abile manager, dopo quattro anni al timone della quarta casa automobilistica mondiale il portoghese si è rivelato insomma un imbonitore da fiera di paese. Una sintesi efficace di cosa è stata Stellantis per l’Italia l’ha fatta Matteo Salvini: «Il comportamento dell’azienda, della proprietà e dei massimi vertici è stato arrogante, spocchioso. Hanno incassato miliardi di euro di denaro pubblico per chiudere fabbriche, mettere in cassa integrazione gli operai, per aprire fabbriche all’estero. Penso sia uno degli esempi peggiori che si possa dare a un giovane che pensa di fare l’imprenditore». Per il vicepremier, inoltre, John Elkann «sarebbe già dovuto venire in Parlamento portando un assegno e ricordando quanti miliardi di euro ha incassato negli anni a fronte dei risultati economici ottenuti, dei licenziamenti e della cassa integrazione».

 



Del resto, basta confrontare gli obiettivi che Tavares ha annunciato nel corso degli anni con i risultati conseguiti. A cominciare dall’incremento della produzione nazionale a quota un milione di automobili. Il risultato? Nei primi nove mesi del 2024 Stellantis ha prodotto in Italia 387.600 veicoli, un crollo del 31,7% rispetto ai 567.525 dello stesso periodo del 2023. L’8 luglio 2021 Tavares dichiarava: «Non vedo ragioni per non fare margini in doppia cifra con l’elettrico e il nostro lavoro ora è quello di mantenere la profittabilità con la graduale scomparsa degli incentivi». Quando però si presenta in Parlamento l’11 ottobre di quest’anno a riferire sulla sua strategia, si riduce a fare la questua: «Non chiediamo soldi per noi» dice spassionatamente, «chiediamo aiuto per i vostri cittadini perché possano permettersi questi veicoli».

«Prevediamo» afferma baldanzoso il 1° marzo 2022 «di raggiungere vendite annuali globali di Bev di cinque milioni di veicoli entro il 2030». Anche in questo caso, il destino cinico e baro si incarica di smentirlo: nel 2023 Stellantis, quarto gruppo mondiale, ha venduto meno auto elettriche di Bmw, che è tredicesimo: 323.300 unità. Ma la tracotanza del manager portoghese non ha limiti e lo porta a lanciare la sfida a Elon Musk il 4 gennaio 2023: «La nostra tecnologia è pronta, vogliamo competere e competeremo con Tesla, cercheremo di batterla». Nei primi dieci mesi del 2024, Tesla ha consegnato 90.346 Model 3 e ben 163.982 della Model Y, seconda e prima auto elettrica più venduta in Europa. Nessun modello Stellantis è nelle prime dieci posizioni.

Ancora: il 27 maggio di quest’anno, Tavares promette il rilancio di Lancia: «A gennaio 2021 quando abbiamo creato Stellantis» dice «stava per sparire», ma «abbiamo deciso di dare a Lancia un nuovo futuro». Considerando tutti i mercati europei in cui opera, a ottobre 2024 Lancia ha venduto 877 auto. Ma l’apice Tavares lo tocca il 14 febbraio 2024: «Per raggiungere l’obiettivo di un milione di veicoli abbiamo bisogno di tutti gli stabilimenti italiani». E qui la farsa rischia di trasformarsi in tragedia. Perché al netto dei 10mila posti di lavoro persi da quando è nata Stellantis nel gennaio 2021, la situazione nelle fabbriche del nostro Paese è drammatica. A Mirafiori la produzione del primo semestre è crollata del 64,4%, mentre sono in solidarietà 3.187 lavoratori. A marzo scorso le uscite incentivate sono state 1.560. A Cassino invece, la produzione del primo semestre segna un tonfo del 38,7%. La solidarietà è prevista fino a fine anno e a marzo scorso gli esuberi incentivati sono stati 850. A Pomigliano i primi sei mesi dell’anno si sono chiusi a -18,9%, con la cassa integrazione per tutto ottobre. A marzo ci sono stati 424 esuberi incentivati. A Melfi la caduta del primo semestre è del 42,5%. Sono stati annunciati cinque nuovi modelli; il primo partirà nel 2025. Ma senza garanzie su volumi e occupazione. Nel frattempo 160 lavoratori sono stati mandati in trasferta a Torino (oggi rientrati quasi tutti), mentre altri 4.662 sono finiti in solidarietà il 26 agosto scorso e ci rimarranno fino al 26 giugno 2025. A marzo ci sono state uscite incentivate per 500 addetti. Ecco, davanti a questi numeri, e alla montagna di soldi pubblici (si parla di 220 miliardi tra il 1975 e il 2012) che lo Stato ha elargito alla Fiat, pare il caso di parlare, come Gramsci, di «capitalismo straccione».

 

 

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