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Stellantis precipita nel baratro mentre l'Europa tiene: le ultime terrificanti cifre

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Sandro Iacometti
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Qui non si tratta più di stabilire se John Elkann sia simpatico o meno, se il suo rifiuto di presentarsi in Parlamento sia uno sgarbo istituzionale o una scelta legittima, se alcuni sindacati abbiano sottovalutato la situazione o evitato di creare problemi all’editore di Repubblica e Stampa. Questioni da talk show che hanno poco senso di fronte allo scenario catastrofico che ci si sta parando davanti. Per carità, Stellantis dopo aver più volte abbassato le stime nel corso dell’anno nell’ultima trimestrale, chiusa con un calo dei ricavi del 27% e delle consegne del 20%, ha confermato i suoi obiettivi per il 2024. Rassicurazione accolta positivamente dai mercati, che non si sono messi in fuga e hanno continuato a puntare sul titolo. Epperò leggendo i dati snocciolati ieri dall’Acea, l’associazione dei costruttori del Vecchio Continente, qualche dubbio viene. E pure qualcosa di più. Il mercato dell’auto europeo ad ottobre non è andato malissimo. Anzi. Dopo mesi di flessione le immatricolazioni totali sono state praticamente stabili, registrando un +0,1%. Il che consente di mettere il segno più (+0,9%) anche nei 10 mesi. Ancora meglio è andata nella sola Ue, con una crescita dell’1,1%. Segnali positivi poi sono arrivati sull’elettrico, con un piccolo scatto di reni delle vendite, risalite del 2,4%. Mentre prosegue inarrestabile la corsa dei veicoli ibridi, saliti del 17,5%.

Anche a livello territoriale c’è chi può festeggiare. La Spagna ha fatto da apripista con una robusta crescita del 7,2%, mentre la Germania si è ripresa con un aumento del 6% dopo tre mesi di calo. Meno bene è andata a Francia (-11,1%) e in Italia (-9,1%). In mezzo ad una giungla di numeri in chiaroscuro, però, c’è un dato inequivocabile. Ed è proprio quello relativo a Stellantis. Nel mese di ottobre il gruppo ha immatricolato in tutta Europa (Eu+Efta+Uk) 150.346 auto, con un calo addirittura del 16,7% rispetto allo stesso mese del 2023. Non va molto meglio nei 10 mesi: il gruppo ha infatti immatricolato 1.700.846 auto, con un calo del 7,1%. La quota di mercato a ottobre è del 14,4% rispetto al 17,4% dell'anno prima, mentre nei 10 mesi la quota è del 15,7% rispetto al 17,1% dei primi dieci mesi dell'anno precedente.

Ora, possiamo anche continuare a credere che gli annunci dell’ad Carlos Tavares siano realistici, che il gruppo gode di buona salute, che il nuovo modello elettrico della DS svelato proprio ieri che sarà prodotto dal marchio premium di Stellantis nello stabilimento di Melfi possa ridare fiato alle vendite, che la Cig annunciata a Termoli sia un incidente di percorso e che il calo della produzione, con picchi dell’80% negli stabilimenti italiani, sia passeggero. Però quando il mercato europeo, che insieme a quello americano e il bacino principale del gruppo, resta fermo e tu perdi oltre il 16% è difficile non vedere che qualcosa non funziona. 

Prima o poi gli azionisti, francesi e italiani, dovranno prendere atto che forse Tavares qualcosina ha sbagliato, che la situazione è più grave del previsto, che sul tavolo non c’è più solo un problema di delocalizzazione della produzione, che sta desertificando le nostre fabbriche. Il problema è che Stellantis non riesce più a vendere e, ferma restando la crisi globale dell’automotive, continua ogni mese a fare peggio dei competitor. A questo punto non si tratta più di capire se il gruppo investirà o meno in Italia, ma se e come resterà in vita. E la domanda dovrebbero iniziare a porsela anche a Palazzo Chigi, considerati gli oltre 270mila occupati in Italia della filiera dell’automotive e il 5,2% del pil che produce ogni anno. Che se aggiungiamo i servizi diventano 1,25 milioni di lavoratori e il 18% del pil. Non proprio bruscolini.

 

 

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