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La sorpresa del governo: Mps ora fa gola a tutti

Sandro Iacometti
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Acquisizioni azzardate, prestiti fuori mercato agli amici degli amici, azionisti spennati con raffiche di aumenti di capitale, gestione disastrosa del Pd locale, con la altrettanto disastrosa supervisione di quello nazionale, inchieste della magistratura, ex ministri dell’Economia che dopo aver bruciato 5,4 miliardi dei contribuenti per salvare la banca poi si candidano nel collegio di Siena per incassare quel dividendo negato per anni ai soci. Oggi vedere il Monte dei Paschi fare l’11% in Borsa, tra gli applausi a scena aperta del mercato, dopo la cessione di un altro 15% da parte del Tesoro può sembrare normale. Roba da broker e da analisti.

Ma per quanto la nostra memoria sia corta non possiamo dimenticarci ciò che è stata Mps fino ad un annetto fa. Una incredibile palla al piede per ben cinque governi (da quello Renzi nel 2015) di cui neanche super Mario Draghi è riuscito a liberarsi, finendo impantanato in un clamoroso pasticcio con Unicredit, dove nel frattempo alla presidenza era arrivato Pier Carlo Padoan, il titolare di Via XX Settembre artefice del salvataggio all’inizio del 2016. Correva l’autunno del 2021 e l’ad della seconda banca italiana, Andrea Orcel, tutt’altro che ingenuo, riuscì a sfilarsi dalla tenaglia politico-istituzionale che da Palazzo Chigi arrivava fino alla Bce, desiderosa di disinnescare una mina pronta ad esplodere.

 



La realtà è che fino all’arrivo di Giancarlo Giorgetti a Via XX Settembre nessuno aveva fatto una banale riflessione. E cioè che senza rimettere prima in piedi la banca, anche vendendola per un tozzo di pane nessuno se la sarebbe mai caricata sul groppone. La dimostrazione si è avuta ieri, quando fior di imprenditori e banchieri si sono avventati sulla quota messa in vendita dal Tesoro spingendo il Mef ha raddoppiare in tempo reale l’iniziale quota del 7% messa sul piatto.

Ce lo avessero detto un anno fa, quando il Tesoro ancora controllava il 64% del Monte, avremmo pensato ad un film di fantascienza. A fare la differenza sono stati, in un contesto di mercato va detto favorevole per le banche, i manager scelti dall’Economia, Luigi Lovaglio in primis, che ha portato l’istituto fuori dalle secche e poi il presidente Nicola Maione, che dal 2023 ha affiancato l’ad nel percorso di risanamento. Quando il governo Meloni si è insediato il titolo valeva 2 euro, oggi viaggia oltre i 6. Nell’ultimo trimestre Mps ha chiuso i 9 mesi con un utile (trattasi di profitti, non delle perdite a cui eravamo abituati) di 1,57 miliardi, con tutti gli indicatori tecnici in crescita e una prospettiva di dividendi che hanno portato l’istituto in vetta alla classifica delle banche europee.

Che le cose fossero cambiate si era già capito con la prima cessione del 25% (a 2,92 euro per azione) nel novembre 2023 e con quella del 12,5 (4,5 euro) dello scorso marzo, per un ammontare complessivo di 1,57 miliardi. Ieri il capolavoro finale, il 15% (con il Tesoro sceso all’11,7% rispettando gli accordi con la Ue) piazzato a 5,8 euro per azione (1,1 miliardi il controvalore) garantendo allo stesso tempo l’italianità della banca: le azioni sono state vendute al polo Banco Bpm-Anima che avrà il 9%, scortato da due solidi soci imprenditoriali, il gruppo Caltagirone e la Delfin della famiglia Del Vecchio, ciascuna con il 3,5%. «Si è creato un nocciolo duro di azionisti, tutti italiani, che potrebbero, in futuro, interessarsi al Monte dei Paschi», ha spiegato il segretario della Fabi, Lando Sileoni, parlando ai rappresentanti sindacali di Bpm. E il bello è che nessuno ha dovuto fare pressioni sugli acquirenti.

Anzi, è festa grande ovunque. «Confermiamo la nostra strategia stand alone. Questo era l’obiettivo ed è stato un grande successo portarlo a termine», ha scritto l’ad di Bpm Giuseppe Castagna in una lettera ai dipendenti. E a stappare lo spumante c’è pure Mps, con Lovaglio che ha informato i dipendenti che «il successo del collocamento del Mef deve rendere estremamente orgogliosi» perché è il segno «dell’apprezzamento per il Monte». Comprensibile, a questo punto, l’orgoglio anche del governo. «Abbiamo portato a termine un’azione importante in modo serio e riservato», è l’esultanza composta di Giorgetti. Mentre per Matteo Salvini, più esplicito come accade spesso, «Mps, che la sinistra era quasi riuscita a distruggere, oggi diventa un polo attrattivo per grandi investitori». 

 

 

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