Donald Trump? L'Ue trema per i dazi: perché brinda solo Giorgia Meloni
Prima regola che i leader europei devono darsi per sopravvivere al Trump 2, e magari uscirne meglio di come ci entreranno: non sarà come il Trump 1. A palazzo Chigi lo hanno messo in conto da tempo. Nel 2017 il presidente degli Stati Uniti non aveva dalla propria parte tutto il Partito repubblicano - che peraltro dopo due anni cedette il controllo della Camera dei rappresentanti ai rivali democratici - e la Corte suprema, l’equivalente della nostra Corte costituzionale, non era d’impronta conservatrice (ha provveduto lui, poi).
Rispetto a quello, il «The Donald» che a gennaio tornerà alla Casa Bianca è una versione imbottita di steroidi. Se allora non poté fare tutto ciò che avrebbe voluto, iniziando dal “raddrizzare” la spesa militare dei membri europei della Nato (la media rimase ben al di sotto del 2% del Pil che era stato concordato nel 2014), stavolta non si vedono ostacoli politici che possano bloccarlo. Trump, insomma, va preso molto, molto sul serio.
TRATTATIVE BILATERALI
La prima partita che i governi europei dovranno giocare con lui riguarda i dazi commerciali che ha promesso di varare appena metterà piede nello Studio Ovale. Impegno ribadito negli ultimi giorni di campagna elettorale: dazi «terribili» alle merci importate per convincere le imprese a produrre negli Stati Uniti. Una sfida alla Cina, ma anche alla Ue.
L’Italia, sulla carta, ha tanto da perdere. Le esportazioni di beni «Made in Italy» negli Usa hanno spiccato il volo, passando dai 27 miliardi di euro del 2013 agli oltre 67 miliardi del 2023. Un successo trainato da cibo, vino, abbigliamento, macchinari, farmaceutica di base e mezzi di trasporto. Manifatture – soprattutto quelle industriali – che il successore di Joe Biden vuole riportare in territorio americano. Ma Trump è un negoziatore. «Uno che mette la pistola carica sul tavolo delle trattative, però poi si siede e tratta», spiega una fonte diplomatica addentro ai dossier tra i due Paesi. La minaccia dei dazi è la pistola carica e le trattative saranno molto probabilmente bilaterali, tra un governo nazionale e l’altro, non tra l’amministrazione di Washington e le autorità Bruxelles, perché questo è lo stile di Trump.
In questo scenario, Giorgia Meloni vede più opportunità che pericoli. È stata uno dei primi leader a congratularsi col vincitore. Quello tra Italia e Stati Uniti «è un legame strategico», ha scritto nel messaggio affidato a X, la piattaforma di Elon Musk, «che sono certa ora rafforzeremo ancora di più». Parole simili hanno usato altri capi di Stato e di governo europei, ma nessuno di loro (ci si avvicina il solo Viktor Orbán) ha col tycoon l’affinità politica che può vantare lei.
Il partito Ecr, la casa dei conservatori europei di cui Meloni è presidente, ha tra i suoi partner il Republican party che in questi anni Trump ha rimodellato a propria immagine. Nel marzo del 2019, davanti a Trump, Meloni è stata l’unico politico italiano a parlare dal palco della Cpac, la grande convention dei repubblicani. Ci è tornata tre anni dopo, per annunciare che il suo partito era diventato grande e pronto a guidare il Paese.
Nessun leader europeo vanta con Musk il rapporto che ha con lui Meloni. L’imprenditore di origini sudafricane, grande finanziatore di Trump, è stato ospite a palazzo Chigi e ad Atreju, la festa dei giovani di Fdi, e il feeling che la premier condivide con lui è simile a quello che la legava all’inglese Rishi Sunak. E già si sa che Musk ufficialmente o no- avrà un peso importante nella prossima amministrazione americana. Per tutti questi motivi, nella presidenza del consiglio sono convinti che una «sintesi» tra gli interessi italiani e quelli della Casa Bianca, sui dazi e le altre questioni, non sarà difficile da trovare. La convinzione è che, se è il rapporto è stato buono con Biden, potrà esserlo ancora di più col suo successore.
Del resto, anche in Europa la situazione è assai diversa da quella di otto anni fa. Si sono spostati a destra molti governi, il baricentro del parlamento Ue e la composizione della Commissione. Trump – lo ha già dimostrato nel suo primo mandato – ha interesse ad avere un rapporto privilegiato con i leader europei di area conservatrice e Meloni oggi è l’unico capo di governo che ha la forza politica, la presenza nelle istituzioni di Bruxelles e la prospettiva di lunga durata per poter fare da “cerniera” tra il presidente repubblicano e Ursula von der Leyen. Nell’interesse degli Usa, dell’Unione europea e ovviamente dell’Italia.
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ARMARSI DI PIÙ
A Roma si confida nel 47settesimo presidente degli Stati Uniti anche per lo scenario internazionale, confidando che egli riesca laddove Biden (almeno sinora) ha fallito: promuovere un accordo di pace tra Russia e Ucraina che non umili Kiev e portare sotto controllo, per quanto possibile, la situazione in Medio Oriente.
Certo, bisognerà armarsi di più e meglio, ma è già stato messo in conto. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ieri ha ricordato di averlo detto «più di un anno e mezzo fa», alla Nato alla Ue: «Dovremo garantire noi per primi la nostra sicurezza e non attendere che ci pensino, a loro spese, i cittadini ed il governo americani». Ma per un Paese con una forte industria della Difesa, il cui azionista di maggioranza è il ministero dell’Economia, l’aumento degli investimenti in sicurezza presenta più di un lato positivo.
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