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Manovra, smentiti i gufi: altro che crollo, i mercati approvano

Sandro Iacometti
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«Sono molto orgogliosa e soddisfatta di una manovra seria di buon senso», ha detto ieri Giorgia Meloni a margine del summit Ue-Paesi del Golfo a Bruxelles, smentendo soprattutto le accuse sui finanziamenti “a rate” che sarebbero destinati alla sanità. «Il fondo sanitario arriverà nel 2025 alla cifra record di 136,5 miliardi di euro e 140 miliardi di euro nel 2026», ha replicato. Ma chiedere al premier se la legge di bilancio è ben fatta, in fondo, è un po’ come chiedere all’oste se il vino è buono. Così come è ovvio che ieri in conferenza stampa a Palazzo Chigi il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, abbia tessuto le lodi della sua manovra «niente tasse e conti in ordine».

Tutte chiacchiere e propaganda? Il solito bluff del governo che fa il gioco delle tre carte e inganna i cittadini, come sostengono le opposizioni? Per sciogliere il dilemma conviene volgere lo sguardo a chi se ne frega della politica e vuole solo capire qual è il posto più conveniente dove piazzare il proprio denaro. Ebbene, ieri, in un contesto sicuramente favorevole dovuto al fatto che ci si aspetta un’accelerazione della Bce sul taglio del costo del denaro, i saldi di bilancio prospettati da Giorgetti e le prospettive di crescita del Paese che dovrebbero scaturire dalle misure previste dalla finanziaria, non solo non hanno provocato alcun sopracciglio alzato, ma hanno alimentato una robusta dose di acquisti sui nostri titoli di Stato.

 

 

 

Non che sia una novità, intendiamoci. Lo spread e i rendimenti bassi dei Btp, malgrado il nostro debito mostruoso che si avvicina ai 3mila miliardi, sono ormai diventati una consuetudine da mesi. Ma una manovra di bilancio azzardata, soprattutto se coinvolge anche le banche e le assicurazioni, può spaventare. E ieri, invece, i titoli del settore del credito e delle polizze hanno viaggiato tranquilli in Borsa, senza variazioni di rilievo, mentre il differenziale tra Bund e Btp è sceso a 122 punti, ai minimi dallo scorso marzo. Giù pure i rendimenti dei bond decennali, scivolati al 3,4%.

 

 

 

Un segnale che fa ben sperare per la raffica di verdetti che nelle prossime settimane arriveranno dalle solitamente severe agenzie americane sul nostro rating. Lo scorso autunno, quando c’era chi annunciava catastrofi, tutto è filato liscio. Anzi, è anche fioccata qualche promozione. E tutto fa pensare che lo scenario potrebbe ripetersi, in barba ai soliti gufi che quest’anno, però, sembra abbiano un po’ perso la voglia di bubolare.

La realtà, piaccia o no, è quella detta ieri da Giorgetti: «Penso che, rispetto al contesto generale, stiamo facendo bene, ma non sono io che devo dare i voti al governo, osservo però i giudizi della comunità internazionale e la diminuzione dello spread». Già perché anche il ministro dell’Economia è uno che delle bandiere politiche se ne frega fino a un certo punto. La sua idea, non peregrina, è che gli elettori alla fine siano come i mercati: quando le cose vanno bene, ti premiano.

 

 

 

E sul tentativo di far andar bene le cose ruota tutta la manovra. Per Giorgetti i soldi dati alle famiglie con più figli e ai redditi bassi (con il taglio del cuneo e l’accorpamento delle aliquote Irpef che diventano strutturali e l’introduzione del quoziente famigliare nel sistema degli sconti fiscali) non sono tanto il frutto di un calcolo politico e neanche etico, ma di un ragionamento economico più volte sottolineato ieri durante la conferenza stampa. La sua (e non solo sua) preoccupazione maggiore in questo momento è il calo della domanda. L’inflazione è scesa, il potere d’acquisto è aumentato, ma i cittadini invece di spendere risparmiano. Di qui due riflessioni: una contro la narrazione declinista, che provoca incertezze ingiustificate, l’altra sulla necessità di aiutare le fasce della popolazione che hanno più propensione a spendere, ovvero le famiglie numerose.

Il resto è contorno. Ma vale la pena sottolineare che a finanziare gli interventi principali della manovra non sono stati i tagli o i contributi delle banche, che pure hanno un peso importante, ma lo straordinario andamento dell’occupazione che, Landini se ne faccia una ragione, ha provocato un robusto aumento delle entrate.

Detto questo, ai mercati non piacciono solo i conti in ordine e l’economia che va, ma anche la stabilità. E la facilità con cui ancora una volta il centrodestra ha ricucito quelle che venivano raccontate come spaccature insanabili tra alleati, resta il miglior biglietto da visita per gli investitori.

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