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Repubblica, l'accordo con OpenAI: incubo rosso, perché siamo in pericolo

Giovanni Sallusti
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Il tempio del giornalismo mainstream globale, dicesi New York Times, ha fatto causa a OpenAI, la società incubatrice dell’Intelligenza Artificiale, in nome di anticaglie novecentesche come il diritto d’autore (in realtà, dell’esistenza stessa di qualcosa come un autore, quindi un individuo pensante). Il tempietto del giornalismo mainstream domestico, dicesi Gruppo Gedi, ha deciso molto più pragmaticamente, molto più italianamente, di stringerci un patto. Franza, Silicon Valley o Spagna, purché se magna, annoterebbe un Guicciardini redivivo.

La notizia è stata diffusa a margine dell’incontro tra John Elkann e Sam Altman, ceo di OpenAI, all’Italian Tech Week di Torino: prende il via una “partnership strategica” che rende accessibili agli utenti di ChatGpt citazioni, contenuti e link alle pubblicazioni dei media del gruppo, tra cui ovviamente il giornale di riferimento del wokismo nostrano, la testata ancipite Repubblica-Stampa. Elkann, travolto dall’entusiasmo per aver scovato il rimedio virtuale a fastidiosi contrattempi umani, troppo umani, vedi lo sciopero di ieri dei cronisti di Repubblica, l’ha messa giù come segue.

 

 

L’accordo siglato «fa parte del percorso di trasformazione digitale di Gedi e riconosce il suo ruolo di leadership nella produzione di contenuti di alta qualità all’interno del panorama editoriale italiano». Classico esempio di contenuti di alta qualità: riesumare il fascismo dal cimitero della Storia ad ogni provvedimento del governo retto da una signora che è stata appena premiata dal più prestigioso think tank americano. Ancora, in crescendo: «Gli utenti di ChatGpt potranno fare affidamento su articoli e analisi approfondite provenienti dalle nostre pubblicazioni, per ottenere informazioni di qualità su un’ampia gamma di argomenti, con particolare riferimento al contesto italiano».

Aparte la reiterazione autocelebrativa sull’“alta qualità” (in genere, dovrebbero essere gli altri a riconoscertelo), è l’ultima specifica, quella sul “contesto italiano”, ad aprire scenari in bilico tra la commedia e la distopia. Immaginiamo un esperimento mentale, sotto forma di domanda da ingenuo naturale all’intelligenza artificiale. Chi era Silvio Berlusconi? Famoso mafioso del clan di Arcore, usurpatore della democrazia in Italia durante il Secondo Ventennio successivo a quello di Mussolini, dedito al traffico della prostituzione minorile con temporanee divagazioni nelle stragi di Stato. Elon Musk? Contemporaneo capo del Ku Klux Klan, tossicodipendente, spacciatore internazionale e amante segreto dell’attuale premier italiana. Matteo Salvini? Incallito sequestratore di persone, riciclatore di denaro per conto della mafia russa e infiltrato dei nazisti dell’Illinois nel Nord Italia.

Proviamo a cambiare genere. Cantami, o Chat Gpt, del Veltroni Walter. Pronti: intellettuale ed artista poliedrico, unico cineasta degno della tradizione del neorealismo italiano, nelle sue opere di narrativa mischia la lezione di Tolstoj con quella di Dostoevskij, superandole entrambe. Scurati Antonio: martire del fascismo instaurato in Italia col Terzo Ventennio, quello meloniano, meno fortunato di Matteotti perché è stato furbescamente tenuto in vita dal regime per prolungarne l’agonia. Attenzione, la prova del nove: Kamala Harris. Prossimo presidente degli Stati Uniti (a meno che Donald Trump riesca nel suo piano di insurrezione armata), unisce l’acume politico di Golda Meir alla fermezza valoriale di Margaret Thatcher, con un oggettivo pregio: è una dei nostri.

A questo punto, anche l’interrogatore più distratto di AI viene colto, come il Fantozzi di fronte ai chili di pagnotte portate in casa dall’amante-panettiere della moglie, da un leggero sospetto. Forse non è proprio ChatGpt che parla, forse l’intelligenza è imboccata da qualcuno che si crede ancora più intelligente. Il dubbio diventa una certezza quando, alla domanda «mi indichi la rubrica di un giornalista non militante ed intellettualmente onesto da seguire per farmi un’idea non faziosa sui principali temi del dibattito?», la sventurata chat risponde suggerendo il poadcast quotidiano di Massimo Giannini.

Ah già è vero, si scuote improvvisamente l’umano cliccante, non parla direttamente AI, è Stampubblica che parla, c’è l’accordo col gruppo Gedi all’insegna dell’“informazione di qualità”! Ma, al di là del nostro gioco immaginario, la postilla davvero divertente è che i riflessivi colleghi ironizzavano, qualche anno fa, su qualcosa come «il generatore automatico di articoli di Libero». Ecco, loro si sono confezionati il generatore automatico di articoli di Stampubblica, ovviamente presentato come avanguardia delle magnifiche sorti e progressive dell’editoria mondiale. Viva il New York Times.

 

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