Borsa, venerdì nero: "Crollo dei titoli e recessione", il mondo trema
Dal caro inflazione alla recessione. A volte, si tratta di un passo assai breve tanto che ora lo scenario economico-finanziario globale potrebbe davvero trasformarsi nel peggiore dei modi. È ciò che si è assistito nelle ultime ore sulle principali piazze finanziarie del pianeta che ieri hanno tutte archiviato la settimana in profondo rosso creando un vero e proprio “panic-selling” mondiale. Se prima, infatti, il sentiment dei listini era concentrato per lo più su un prossimo, imminente taglio dei tassi, ieri invece le quotazioni sono scese a rotta di collo perchè il taglio dei tassi ora potrebbe essere robusto già nelle prossime settimane. Causa recessione.
A far partire il cambio di rotta è stato il Nikkei di Tokyo che ha lasciato sul terreno quasi il 6%, peggior seduta dai tempi del primo lockdown pandemico, poi Piazza Affari, la peggiore del Vecchio Continente, che ha perso il 2,55% (oltre il 5,3% in una sola ottava) bruciando in solo due sedute ben 40 miliardi (la Consob ha accesso un faro sulle vendite sui titoli bancari), il Dax di Francoforte ha poi lasciato sul terreno il 2,4%, mentre il Cac40 di Parigi ha perso l’1,6% e Wall Street- a metà seduta - era in terreno negativo di oltre due punti percentuali.
A far suonare la campanella del “venerdì nero” delle Borse internazionali sono stati, senza ombra di dubbio, i dati americani deglio ultimi giorni che hanno letteralmente mandato in tilt i principali mercati azionari. La debolezza dei posti di lavoro - i nuovi posti creati nel mese di luglio sono stati 114mila, sotto le stime previste -, la disoccupazione a stelle e strisce è salita al 4,3%, sopra le attese. Pure l’indice manifatturiero Ism statunitense di luglio è stato molto debole così come i nuovi ordini sono in rallentamento. Del tutto simile la situazione Oltreoceano dove l’indice Pmi del settore manifatturiero dell’Eurozona, che misura lo stato di salute complessivo delle aziende mese dopo mese, a luglio ha riportato lo stesso valore di giugno di 45.8, segnando di conseguenza un nuovo forte peggioramento dello stato di salute dell’industria dell’area euro. Non va certo meglio la situazione in quel di Pechino, con l'indice pmi Caixin calato nel mese di luglio dopo nove mesi di rialzi. Ma ad alimentare i venti di rallentamento o addirittura di recessione ci sono messi pure i dati finanziari Usa, leggasi alcune trimestrali particolarmente deludenti diffuse da diversi colossi tecnologici del calibro di Intel (-27%) e Amazon (-8,7%) che hanno mandato ko gli investitori.
E a questo punto che cosa succederà la prossima settimana? Qualche analista ha già ipotizzato che stavolta la Fed sia in forte ritardo sulla politica monetaria, visto che anche solo qualche giorno fa il numero uno Powell ha deciso di lasciare invariato il costo del denaro al 5,5%, sui massimi ventennali. Certo, il presidente della Banca Centrale Americana ha comunque dichiarato di essere pronto per un primo taglio a settembre. Questo perché, nonostante l’inflazione non voglia saperne di avvicinarsi all’obiettivo del 2%, i venti di rallentamento dell’economia Usa, da un po’ di tempo, sono forti. «I dati sono stati scarsi, ma non sono certo una prova di recessione» affermano gli analisti del Santander, ma in generale ora in tanti si accorgono che troppi segnali sono stati finora ignorati. La seduta di ieri è stata pesante pure per le valute, con il dollaro che ha visto il calo più marcato del 2024, in particolare nei confronti dello yen che passa di mano a 149 sul biglietto verde. Lo spread fra Btp e Bund ha chiuso in rialzo. Forte indebolimento anche per il petrolio, con il Brent che è arretrato del 3,4% mentre il Wti è sceso del 3,8%. Dopo un top intraday vicino ai massimi storici, l’oro ha chiuso in calo dello 0,9%.
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